Visto come gira il mondo d’oggi a volte penso, utopisticamente, che ci salverà la musica (e l’arte in genere), ma, mentre mi perdo nei miei sogni da ingenuo idealista, qualcosa succede…
…succede che se nella vita “normale” le donne devono ancora lottare per la parità di diritti e opportunità, oltre che contro le violenze nei loro confronti, nel mondo del rock si parla sempre più al femminile.
Chelsea Wolfe è americana, seppur di origine tedesca e norvegese, e fa parte di quella schiera di musiciste cantautrici che mischiano musica ambient, metal, folk, dark… in cui sono incluse anche Anna Von Hausswolff, Myrkur, Helga…
È figlia d’arte, dato che suo padre suonava in una band country e aveva uno studio di registrazione casalingo nel quale già a nove anni Chelsea aveva scritto alcuni brani.
Ha una discografia di tutto rispetto, i cui vertici sono costituiti da “Pain is beauty” (2013), “Abyss” (2015) e “Hiss spun” (2017).
Dopo cinque anni dall’uscita di “Birth of violence” (2019), vede la luce il nuovo album “She reaches out to she reaches out to she”.
In questo quinquennio l’artista ha vissuto momenti di cambiamento che l’hanno portata a liberarsi degli eccessi alcolici di cui abusava.
Se dovessi definire l’album con una parola, questa sarebbe “contrasto”, infatti, se già prima questo aspetto emergeva, qui, nonostante i suoni folk e blueseggianti siano quasi inesistenti rispetto al passato, quelli moderni e industriali si mischiano alla delicatezza della sua voce senza tempo, capace di suscitare emozioni antiche, ma anche di proiettare nel futuro.
Molto marcata l’influenza di Nico and The Velvet Underground che quasi sessant’anni fa manifestarono al mondo la loro necessità di andare oltre.
Troviamo quindi sonorità metal che si alternano con l’elettronica (“Whispers in the echo chamber”) o si fondono con elementi prog (“House of self-undoing”), l’avvolgenza di “Everything turns blue” che lascia spazio alla semi oscurità di “Tunnel lights”, il folk di “The liminal” unito alla rarefattezza di “Eyes like nightshade” e di “Salt”, il sinfonismo industriale di “Unseen world” e quello introverso di “Place in the sun”, senza contare la conclusiva “Dusk” in cui si condensano tutti gli elementi che hanno caratterizzato i brani precedenti… il tutto, naturalmente, con il trait d’union della sua voce leggera e soffice come una piuma, ma, al contempo, dominante.
Album da ascoltare in cuffia e con poca luce.
Band:
Chelsea Wolfe – voce
Bryan Tulao – chitarra solista
Jess Gowrie – batteria, drum machine e chitarra
Ben Chilsom – piano, synth e drum programming