Scrivere due righe su questo nuovo e sesto album solista di Slash non può esimermi da fare un paio di considerazioni.

Infatti, la parola “classico” nell’arte e ancor di più nella musica ha perso molto del suo significato, a causa della frenesia del mercato, in un mondo dove sono i tempi del web a comandare; oggi un album è già vecchio dopo un mese dalla sua pubblicazione, le migliaia di ‘zine che circolano su internet rincorrono altrettante uscite discografiche ogni settimana sfornando pagine e pagine di articoli per lo più letti da nessuno.

Tra venticinque anni chi ci sarà continuerà a ricordare band e brani del secolo scorso (i classici appunto), ma non ricorderanno una sola delle band che oggi spopolano per non più di una settimana sul mondo virtuale di oggi.

A farci riflettere sulla deriva presa dal mondo della musica e del rock in questo burrascoso periodo arriva “Orgy Of The Damned”, non a caso un album interamente di cover e non a caso di classici del blues.

Slash, da sempre amante della musica del diavolo, questa volta ha fatto davvero le cose per bene, a partire da una copertina che porta la mente di chi la osserva (soprattutto chi mastica abitualmente il genere) nelle balere del sud degli states, dove la gente di colore si riuniva, lontana da occhi indiscreti, tra sudore, whiskey, minigonne, labbra lascive, balli sfrenati e quella poca di libertà guadagnata e sofferta a ritmo del blues (da qui il titolo, mai così azzeccato).

Il grande chitarrista americano ci regala quindi una dozzina di classici del blues, scritti e suonati da autentiche leggende come Howlin’ Wolf, Robert Johnson, Willie Dixon, Peter Greene tra gli altri, circondandosi di amici famosi e soprattutto divertendosi, suonando alla sua maniera autentici capolavori che hanno fatto non solo la storia del genere ma della musica tutta.

Slash torna alle sue radici, alla musica che l’ha formato: il blues!!

Ecco perché un album di cover diventa importante, ancor di più in questo periodo, ridando lustro al significato di classico o se vogliamo “immortale”; del resto, è difficile non considerare tali brani leggendari come l’opener “The Pusher” cantata da Chris Robinson dei corvi neri, la spettacolare Hoochie Coochie Man (Billy Gibbons), Key To The Highway (Dorothy), il singolo Killing Floor (Brian Johnson e Steven Tyler all’armonica) o la superba Stormy Monday (con una Beth Hart che si conferma la regina bianca del blues 2.0).

Dovrei nominarveli tutti questi dodici capolavori, ma lascio che sia la musica e i suoi protagonisti, passati e presenti, a convincervi.

Uno degli album dell’anno. Blues on!