È dal 1969 che Dave Brock guida l’astronave Hawkwind in giro per il cosmo.

Nati nel momento in cui il rock inglese stava compiendo la sua evoluzione dall’idea psichedelica a quella progressiva; partendo da un’attitudine underground, porteranno elementi di entrambe verso lo spazio; di fatto creando un genere, lo space rock, che, seppur lontano dai canoni del music business, ha influenzato una moltitudine di musicisti delle generazioni successive.

Posso affermare che si tratta di una delle band col miglior rapporto tra ampiezza della discografia e qualità della stessa.

Se Brock è stato il punto di riferimento del progetto, occorre sottolineare quanto questo sia stato arricchito da una lunga lista di musicisti straordinari che hanno contribuito a scrivere la storia della musica: Nik Turner, Del Dettmar, Robert Calvert, Lemmy, Simon House, Alan Davey, Adrian Shaw, Simon King, Ginger Baker,…

Non stupisce, quindi, trovarsi di fronte a un nuovo album degli Hawkwind ad inizio 2024, quando l’ottimo “The future never waits” è uscito solo l’anno scorso.

Encomiabile la dedizione del leader e il suo costante desiderio di esprimersi attraverso musica ultraterrena, riuscendo sempre a contornarsi di musicisti adatti allo scopo; tra l’altro, così come nel precedente, concedendo sempre maggiori spazi compositivi e vocali al chitarrista Magnus Martin, quasi a voler lasciare una traccia testamentaria per garantire la prosecuzione del viaggio nel futuro.

…3, 2, 1, decollo… e in pochi anni luce ci troviamo nel mare della tranquillità, rappresentato dalla bellezza struggente di “Our lives can’t last forever” cui i tappeti di synth, le chitarre ispirate e le voci splendide ne mettono a nudo l’anima più progressiva.

La pace riscontrata viene messa in discussione da “Starship (one love one life)” che riporta la band su coordinate lisergiche, con ritmiche fluttuanti unite a suoni spaziali e linee vocali azzeccate che confluiscono in un refrain reiterato di sicuro fascino.

“What are we going to do while we’re here” rappresenta una via di mezzo tra i brani precedenti, infatti, a una prima parte immersa in atmosfere serenamente dilatate e impreziosite da un sax meraviglioso, ne segue una seconda che catapulta l’ascoltatore in una tempesta astrale energica e pulsante, prima di ritrovare ancora il sax per il finale.

Il viaggio intergalattico prosegue con il classico space di “The tracker”, la breve sinfonia strumentale di “Eternal light” e la profondità di “Till I found you” che conduce a esplorare la vastità degli abissi cosmici prima di esplodere nella parte finale, acquisendo dinamicità e offrendo un compendio totale del suono Hawkwind.

“Underwater city” è un altro breve brano strumentale che parrebbe rappresentare una semplice sosta astrale, ma, in realtà, il binomio tra le chitarre classiche e le divagazioni dei synth rappresenta al meglio il passaggio tra tempo e spazio cui si riferisce il titolo dell’album.

L’idea del cielo notturno di “The night sky” introduce la completezza di “Traveller of time & space” dove ancora l’amalgama tra suoni acustici ed elettrici è coerente col concept.

Un paio di brani strumentali, “Re-generate” e “The black sea”, anticipano il gran finale garantito dallo spettacolare crescendo di “Frozen in time” e da “Stargazers” con le sue contaminazioni jazzate.

Hawkwind: leggende britanniche dello space rock!!

Atterraggio… e consapevolezza di quanto ci sia bisogno di esplorare altre dimensioni alla ricerca di realtà migliori della nostra… è da cinquantacinque anni che gli Hawkwind ce ne danno la possibilità.

Band:

Dave Brock – voce, chitarra, tastiere e synth

Magnus Martin – voce, chitarra, tastiere e synth

Thighpaulsandra – tastiere e synth

Doug Mackinnon – basso

Richard Chadwick – batteria, cori e percussioni

Michael Sosna – sassofono