Da tempo i Pearl Jam sono la band che meglio rappresenta l’essenza de rock americano, in un misto tra blue collar, classic, folk, country e blues. Eddie Vedder e compagni, si adoperano per portare avanti una storia sempre marchiata dall’impegno sociale, qualche inevitabile sbandata, ma sempre tanta passione per quello che fanno.

Non c’è dubbio che il periodo dell’urgenza creativa è alle spalle, ma un nuovo album dei Pearl Jam, il dodicesimo in 33 anni di storia, non può passare sotto traccia e merita il nostro tempo. “Dark Matter”; prodotto dalla giovane stella della cabina di regia Andrew Watt (Iggy Pop e soprattutto l’ultimo dei Rolling Stones) e composto come sempre per metà da Vedder e poi dal resto della band; ad un primo ascolto lascia perplessi, ma dopo alcuni passaggi sullo stereo, prende corpo e si scopre di volta in volta qualche brano in più che convince. Non sarà un album all’altezza dei loro dischi che hanno segnato la storia del rock – dimentichiamoci gli anni della gioventù per favore! – ma brani come “Wreckage”, “Won’t Tell” e “Running”, rappresentano bene quello che oggi sono i Pearl Jam: rock, impegno e un tocco di malinconia.

I Pearl Jam nel 2024 (Foto di Danny Clinch)

Se invece cerchiamo il pezzo da consegnare ai posteri, non c’è dubbio che “Waiting For Stevie”, un cantato carico di pathos ed un assolo finale di Stone Gossard in crescendo, resti attaccata al cuore, così come la chiusura di “Setting Sun”, con la voce di Vedder, che a sessanta anni non cerca più acrobazie, ma emozione, e riverbera tutta la sua poesia, per ricordarci che è bello invecchiare con questi amici.