La storia dei norvegesi Lucifer Was va conosciuta perché sono una delle cult band a cui la definizione calza a pennello.
Nascono nel 1970 e continueranno a suonare insieme fino al 1997, quando, grazie alla Record Heaven, uscirà il loro primo album “Underground and beyond”, un capolavoro in cui influenze di Jethro Tull, Black Widow e Black Sabbath coesistono con un’innegabile capacità compositiva, tanto da scrivere brani memorabili.
Da lì la produzione discografica della band, seppur con qualche cambio di line-up, ha partorito altri sei album eccellenti e, soprattutto, mai ripetitivi.
In questi giorni, a distanza di otto anni dal precedente “Morning star”, vede la luce l’ottava fatica che reca il titolo di “Ein fix ferdig mann”.
Le scelte sono state di optare per la lingua madre relativamente ai testi e di esprimersi con un sound estremamente ricco, grazie a un organico numeroso e di prim’ordine.
L’iniziale “Frå fyrste dag” presenta un prog con cori maestosi ed evocativi, mentre la title track è dominata dall’hammond e da un’enfasi soul, per un brano bluesy in cui spicca un assolo sublime.
Negli oltre sei minuti di “Krig i oone landskap”, il violino introduce un brano di hard prog oscuro, teatrale, drammatico, variegato e ricco di cambi di tempo, seppur senza mai perdere di vista la forma canzone.
La capacità del gruppo di spiazzare e sorprendere è sempre elevata e il brano successivo, “Ei gåte”, viaggia sempre su territori progressivi, ma in questo caso l’ambientazione è più solare, con l’hammond in evidenza e cori da brividi.
Tappeti di mellotron e una voce femminile vicina al folk caratterizzano la breve “Når natta kjem og tek meg” che anticipa il prog possente e arcano di “Eg vil ha det eg vil ha”, in cui, oltre all’organo e alle voci, spiccano gli interventi di flauto, meno presente che nella produzione passata.
“Snømann i sol” ha le sembianze di una power prog ballad, dove romanticismo e potenza coesistono, mentre la voce tocca vertici altissimi in una vera a propria sinfonia.
Quando la qualità media è così alta, si fa fatica a privilegiare un brano rispetto ad altri, ma “Aftenbøn til dauden” https://youtu.be/EY8TQk9sHIg?si=BFs2mYMrVlRWdjSO con la sua totalità, sfata questa regola e ci immerge in un caleidoscopio in cui si evidenziano elementi operistici, teatralità, ancora la magia del flauto, ma, soprattutto il connubio tra la voce meravigliosa arricchita e cori femminili angelici.
Dopo tanta grazia, il sinfonismo finale di “Kunsten å gjere ingenting” fatica a lasciare il segno, ma non inficia il valore di un album bellissimo.
Band:
John Ruder – voce e tastiere
Thore Engen – chitarra e cori
Andreas Sjo Engen – chitarra e cori
Arne Martinussen – organo, piano, mellotron e synth
Dag Stenseng – flauto e cori
Line Mevassvik – flauto, voce e cori
Bjørn Malmåsen – basso
Arild Brøter – batteria e percussioni
Kai Frilseth – percussioni
Guests:
Deb Girnius – voce
Tina Therese Tuven – voce operistica
Arild Larsen – basso su “Ei gåte”
Siri Snortheim – cello
Coro:
Elisabeth Molle Sjo Engen
Tina Therese Tuven
Charlotte Johansson Nilsen
Line Mevassvik
Marcus Only
Erik Sjo Engen
Andreas Sjo Engen
Lars Swanstrøm