Dal punto di vista musicale, la Scandinavia oggi è ciò che era l’Inghilterra tra gli anni ‘60 e ‘70, una fucina di band e produzioni che pare essere inesauribile.

In questo contesto emerge la Finlandia che, certamente in virtù della miscela di culture che ne ha caratterizzato la sua storia, non solo gode di grande fertilità artistica, ma spazia in maniera trasversale tra i vari generi e sottogeneri del mondo del rock.

I finnici The Abbey non fanno eccezione, anzi, riescono a fondere talmente tante influenze da creare il sound estremamente variegato di “Word of sin”, loro primo album.

Il loro nome deriva da uno spunto italico, in quanto si riferisce all’Abbazia di Thelema, in Sicilia, dove Aleister Crowley (1875-1947), uno dei più famosi esoteristi di tutti i tempi, visse con la sua comune Ordo Templi Orientis prima di essere allontanato dall’Italia ufficialmente perché accusato di antifascismo, ma molto probabilmente a causa di una morte misteriosa legata alle pratiche che ivi si svolgevano.

Il gruppo ruota intorno a Jesse Heikkinen, polistrumentista con svariate esperienze (Hexvessel, The Aeon e King Satan le più note) e principale compositore, cui si sono aggregati Henri Arvola, Natalie Koskinen (voce dei Shape of Despair), Janne Markus e Vesa Ranta (già con i Sentenced).

Riuscire a inquadrarli in un genere ben definito è impossibile, ma per dovere di cronaca posso partire da un heavy dark che viene immediatamente contaminato da doom, prog e gothic, per un album mai monotono e banale che trova rimandi a certi King Crimson, agli Opeth della seconda parte di carriera e ai primi Ghost.

The Abbey: dalla Finlandia solo cose belle!!

Notevole il lavoro delle tastiere unito a quello delle chitarre che passa dalla ruvidità delle parti più heavy alla classe di quelle solistiche, ma l’elemento di spicco, oltre alle composizioni, sono le melodie vocali determinate dall’alternanza maschile/femminile delle ugole di Jesse e di Natalie.

I due brani iniziali, “Rat king” e “A thousand dead witches”, sono quelli da cui emerge maggiormente l’influenza dei Ghost, nel primo per via delle atmosfere luciferine, il secondo per la parte corale che poi confluisce in un’apertura dark prog evocativa.

Gli elementi doom, nel senso più lato del termine, emergono in “Crystallion”, dove in alcuni momenti la voce mi ricorda Paul Chain e dove le atmosfere sono più rarefatte per poi aprirsi a una struttura solenne dominata dalle tastiere, in “Queen of pain” e in “Desert temple” in cui parte iniziale e finale pesanti sono inframezzati da momenti corali di spessore.

La meravigliosa “Starless” e la sua oscurità dilatata in cui prendono il sopravvento la voce della Koskinen con melodie ancestrali e una solista dal gusto sopraffino fanno da contraltare alla maestosità epica di “Widow’s will”.

“Only ones”, introdotta da un breve prequel inquietante, con i suoi oltre dodici minuti costituisce il vertice dell’album e vede confluire in essa tutti gli elementi emersi sopra, per un brano oscuro e progressivo di grande livello.

Esordio con i fiocchi che sottintende già una curiosa attesa per il prossimo album.

The Abbey:

Henri Arvola – basso

Jesse Heikkinen – voce, chitarre, tastiere e percussioni

Natalie Koskinen – voce

Janne Markus – chitarre

Vesa Ranta – batteria

Ospiti:

Jarmo Heikkinen – liuto

Joonas Karjalainen – tastiere

Mikko Kiiveri – percussioni

Kyösti Rantio – chitarre e tastiere