La nostra Italia ha una tradizione consolidata nel rock progressivo. E non si tratta solo dei colossi degli anni ’70 venerati in tutto il mondo (PFM, New Trolls, Le Orme, BMS per farvi capire…), ma anche nei decenni successivi le band di altissima qualità non sono mancate, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Tra i protagonisti più recenti annoveriamo certamente i Self Portrait, un quartetto di Parma che si muove con delicatezza in quel territorio meravigliosamente ambiguo, dove la melodia è al centro di tutto, mentre la tecnica è al servizio della canzone.
Non sempre i quattro evitano le trappole del diluire troppo la lunghezza dei pezzi, ma nell’insieme il risultato è più che soddisfacente, come dimostrano “Moontrip” e “Tiergarten”, carichi di quell’orgoglio prog classico, che si evince dai ricami di tastiere e dalle voci delicate, buone variazioni arrivano dai passaggi sensuali di “Enoch”, mentre “Croup And Vandemar” mi riporta alla mente i Marillion del primo periodo, quando la fama li investe a sorpresa. Di “Nine Magpies And A Black Cat” avrete letto anche altrove come del brano più maturo e a costo di apparire ripetitivo ma confermo anch’io questa idea, infatti lo sviluppo è perfetto, sia strumentale che vocale.
Per inquadrare i Self Portrait citare Pink Floyd e Porcupine Tree, che loro stessi ammettono, ma anche Kino, *Frost e persino alcuni romanticismi decadenti degli Anathema non è fuori luogo, manca forse in alcuni passaggi la decisione necessaria per marcare il territorio, ma in fondo il prog rock non cerca la facile affermazione.
Ecco perché vi suggerisco di prendervi del tempo, ascoltate e riascoltate “Fishes Were Everywhre” e scoprirete che non sempre la musica arriva su una strada dritta, fa curve, salite e discese, ma alla fine del viaggio, raggiunto l’obiettivo, la soddisfazione è maggiore.
Il rock progressivo italiano è in ottima forma. Gran bel disco, lodi lodi lodi ai Self Portrait.