É dal 1998, da quando Matt Pike dopo lo scioglimento degli Sleep fondò questa altrettanto mastodontica creatura e la chiamò High On Fire, che lo stoner/sludge/doom metal di questa band imperversa nei padiglioni auricolari degli appassionati, devastati da otto micidiali terremoti musicali.

Oggi il trio statunitense che, oltre allo storico cantante e chitarrista mette in campo una sezione ritmica che chiamare tellurica è un eufemismo (Jeff Matz al basso e Coady Willis alla batteria), torna con un nuovo granitico album intitolato “Cometh The Storm”.

Gli High On Fire difficilmente deludono chi li segue e, infatti, anche questo lavoro non fa che confermare la regola, a sei anni di distanza dall’altrettanto monumentale “Electric Messiah”.

La formula non cambia: si viaggia a velocità media, talvolta rallentando appena quel tanto da ripartire potenti e selvaggi travolgendo tutto ciò che capita a tiro, ma eseguito con una consapevolezza e decisione che vanno di pari passo con la fama raggiunta, aggiungendovi poche ma raffinate idee che accentuano lo status di una delle band guida nel genere.

Esempio lampante è l’opener “Lambsbread”, una devastante stoner/sludge song che si apre ad armonie chitarristiche orientali che mi hanno ricordato i The Tea Party; con tali premesse non si può che oliare a dovere i padiglioni auricolari e farci torturare dallo strapotere stoner/doom/sludge di questi tre cavalieri indomiti, enormi nell’individuare il momento in cui mollare il tiro per regalare momenti di grande spessore tecnico (la sezione ritmica fa un lavoro disumano dall’inizio alla fine) o viaggiare nei cieli d’oriente con le atmosfera dello strumentale “Karanlik Yol”.

Gli High On Fire piantano un chiodo ad altezza proibitiva e chiunque altro che si cimenti nel genere per arrivare così in alto dovrà impegnarsi non poco.