Originari del Nord Carolina, gli Old Heavy Hands tornano sul mercato con questo ottimo album intitolato “Small Fires” confermando quanto di buono fatto dal 2015, anno in cui i cinque musicisti statunitensi hanno iniziato il loro percorso, con una proposta che svaria dal country rock al southern, portandoci a tratti a spasso per gli anni novanta.
Come ormai è abitudine nel sound delle nuove leve del genere, questo mix di atmosfere e ispirazioni riesce a piacere non poco, valorizzato da una produzione top ed un songwriting sopra le righe.
Un lavoro in studio che ha visto alternarsi una squadra di top player del genere (Danny Fonorow alla produzione, Mitch Easter, Ted Comberford e Benji Johnson come ingegneri del suono, Henry Lunetta al mix e il mastering affidato a Greg Calbi e Steve Fallone), una manciata di ospiti ad aiutare il gruppo in quello che risulta sicuramente il loro lavoro migliore e, probabilmente, il trampolino di lancio per raggiungere molti più appassionati che in passato, contribuiscono a rendere “Small Fires” un gioiellino di rock americano, grazie ad una serie belle canzoni che ricordano i Lynyrd Skynnyrd, Neil Young ma anche Tom Petty, così come nei momenti più energici i Nickelback.
Tra tutte queste storiche ispirazioni esce la personalità del gruppo di Greensboro, da brividi quando si sistemano il cappello, alzano il bavero e ci circondano di atmosfere southern country rock (“All The Time In The World”, “Hands Of Time”), divertenti quando invece è l’anima alternative rock che prende il sopravvento (“Runaround”, “Old Demons”).Nathan James Hall (voce, chitarra), Larry Wayne Slaton (voce, chitarra, tastiere) David Self (chitarra solista, voce), Josh Coe (basso, mandolino) e John Chester (batteria e percussioni), aiutati da Laura Murphy, Carri Smithey e Josh King ai cori, Casey Cranford ed Eli Fribush ai sassofoni, Zac Lee alla tromba e Justin Gerringer al trombone, hanno dato alle stampe un album convincente, ne sentiremo parlare.