Neal Morse è sicuramente uno dei musicisti e songwriters più prolifici degli ultimi trent’anni: i suoi innumerevoli progetti solisti o all’interno di una band hanno sempre mantenuto una qualità elevata, attraendo fatalmente una schiera di fans in attesa di ogni sua uscita discografica.
Co-fondatore dei mai abbastanza osannati Spock’s Beard nella prima metà degli anni novanta, il cantante e polistrumentista statunitense è ricordato anche come membro di Transatlantic e Flying Colours, oltre che per la sua carriera solista e con la Neal Morse Band.
Negli ultimi anni ci ha deliziato con una manciata di bellissime opere progressive uscite a suo nome, di cui “The Dreamer-Joseph: Part One” è l’ultimo eccelso sforzo musicale.
Figlio di tre album capolavoro come “Sola Scriptura” (2007) e soprattutto “Jesus Christ (The Exorcist) (2019) e “Sola Gratia” (2020), il nuovo album è una sorta di musical che racconta le vicende della prima parte di vita del patriarca Giuseppe, una delle figure più carismatiche della Bibbia e lo fa tramite sessantacinque minuti circa di musica senza confini, progressiva, emozionante, teatrale ma lontana da ogni stucchevolezza, meravigliosamente ascoltabile in ogni suo passaggio con picchi di raffinata eleganza che lasciano senza fiato.
Ad accompagnare Morse in questa nuova avventura troviamo, oltre a Steve Morse ed Eric Gillette alle chitarre, un numero importante di ospiti al microfono chiamati a interpretare i tanti personaggi della storia tra cui, oltre allo stesso Morse nei panni di Joseph, Ted Leonard, Wil Morse e Jake Livgren.
Questo emozionante viaggio in uno dei capitoli della Bibbia inizia con “The Dreamer Overture”, sette minuti di follie progressive che non potrebbero aprire l’opera in modo più spettacolare, un saliscendi sul pentagramma che porta al vero inizio della storia.
E’ da “Prologue-Before The World Was” che Morse ci prende per mano e ci accompagna nell’antico Egitto, dove Giuseppe arriva come schiavo; contaminazioni di ogni tipo, arrangiamenti orchestrali perfetti nella loro debordante semplicità, non una nota che non sia al servizio del racconto fanno di “The Dreamer” un’opera senza tempo che risulta una boccata di ossigeno nell’ormai affollata e troppo spesso asfittica scena progressive.
Da “A Million Miles Away”, passando per la ottantiana “Gold Dust City” (il refrain sembra uscito da una delle colonne sonore di Bill Conti) fino alla conclusiva “Why Have You Forsaken Me?” è tutto un susseguirsi di soprese compositive, collocate in un contesto che non si discosta dal credo musicale di un Neal Morse in ormai perenne stato di grazia.
Il 2024 è ormai vicino e regalerà la seconda parte di questa mastodontica opera che BackInRock puntualmente vi racconterà.