The Answer “Sundowners” (2023, Golden Robot Records)
Irlandesi, si formano nel 2000 e, dopo il loro primo album “Rise” del 2006, una alacre attività e i notevoli riscontri testimoniati dalle copie vendute e dai tour con grandi nomi li portano a incidere altri cinque album in studio e un live . Il loro hard blues di ottima fattura attinge prevalentemente alla tradizione anglosassone, con Led Zeppelin, Thin Lizzy e Free come principali influenze, senza dimenticare una certa ruvidità derivante dai Faces e dagli onnipresenti AC/DC, tutto ciò fino a “Solas” del 2016, disco meraviglioso che si discosta nettamente dalle uscite precedenti, palesando un suono più oscuro e sofferto, vicino pure a certo dark, dovuto a un momento molto difficile vissuto dal vocalist Cormac Neeson.
Da quel momento il fervore si dirada e del gruppo si perdono un po’ le tracce, fino ad ora, quando, con grande sorpresa, dopo sette anni, viene alla luce il nuovo “Sundowners”.
Si tratta di un album molto ispirato che li riporta alle origini e si distacca dalle sonorità del precedente, regalandoci una serie di canzoni di alto livello, racchiuse tra l’iniziale title track che esalta con i suoi 6/7 minuti di hard psichedelico che poggia su ritmiche tribali e la conclusiva “Always alright” che inizia come ballata e poi si evolve in un brano dagli alti connotati soul/gospel che richiamano gli ultimi Rival Sons; in mezzo il protagonista è l’hard rock: con elementi funky (“Blood brother”, “Oh cherry”, “All together” e “Get back on it”) o classico (“California rust”, “Want you to love me”, “Cold heart” e “Livin’ on the line”), senza tralasciare “No salvation”, un bluesaccio in cui Cormac fa capire che Rod Stewart appartiene pesantemente alle sue influenze.
La formazione, sempre la stessa in tutti gli album, è costituita da Cormac Neeson (voce e armonica), Paul Mahon (chitarre e voci), Micky Waters (basso e voci) e James Heatley (batteria e voci).
Ally Venable “Real Gone” (2023, Ruf Records)
Buongiorno a tutti, mi chiamo Ally Venable, sono texana, faccio blues e mi manda Joe Bonamassa.
Ecco, se Ally si presentasse così, con poche parole avrebbe detto tanto… tutto!
Il blues è musica apparentemente semplice, ma è bastardo, con lui non si può bluffare, o ce l’hai nell’anima e lo sai far uscire oppure non smuove nessuno.
“Real gone” è il suo quarto album e viaggia su alti livelli dall’inizio alla fine, confermandoci che la splendida fanciulla, dietro quel visetto acqua e sapone, cela un talento chitarristico eccellente e una voce capace di emozionare.
Proprio come nella sterminata discografia del suo mentore, qui troviamo tutti i requisiti necessari a soddisfare gli amanti di questa musica: si passa dal blues ruvido e hard della title track, di “Justifyin’ “, di “Two wrongs” e soprattutto di “Kick your ass” che tiene fede al suo significato; a quello più classico di “Going home” con crescendo e assolo da paura, di “Texas Lousiana” insieme a Buddy Guy (!!!), di “Don’t lose me” con la presenza dei fiati e di “Blues is my best friend” il cui titolo non lascia adito a dubbi; senza tralasciare alcune ballate sofferte e di classe cristallina come “Broken and blue” con Joe Bonamassa, “Any fool should know” e “Gone so long”.
Album top!
Soen “Memorial” (2023, Silver Lining Music)
I Soen nascono nel 2004 a Stoccolma per iniziativa del batterista Martin Lopez, già con Opeth, Amon Amarth e altri. La band però comincia ad operare solo dal 2010 e viene inserita in quel filone di prog metal 2.0, del quale fanno parte svariate band di cui Tool (loro principale influenza), Katatonia, Leprous e Tesseract costituiscono i nomi più celebri.
Personalmente non sono un amante di queste categorizzazioni poiché generano sempre divisionismi e incomprensioni, per cui preferisco considerarli semplicemente come una band heavy che ha all’attivo sette album compresi il recente live “Atlantis” e il nuovo “Memorial”.
Le prime uscite erano più cervellotiche, da qui l’identificazione di cui sopra, mentre le ultime risultano più dure e dirette, ma resta il loro marchio di fabbrica che è caratterizzato dalla voce di Joel Ekelöf, capace di disegnare melodie che vanno a costituire l’asse portante della band.
“Memorial” rientra perfettamente in questo discorso e, a fronte di un appesantimento del suono, le linee vocali e gli arrangiamenti vincenti permettono all’album di palesarsi con un’ambizione “commerciale” che sono certo sarà vincente, visto anche la nutrita presenza di giovani al loro concerto di Milano dello scorso anno.
I brani funzionano, scorrono piacevolmente presentando strutture puramente heavy (“Sincere”, “Fortress”, “Incendiary” e, soprattutto, “Icon”) e altri in cui si alternano sfuriate aggressive a momenti più rilassati (“Unbreakble”, “Violence” e“Memorial”) cui si aggiungono alcune pregevoli ballate tra cui spicca “Hollowed” con la partecipazione sorprendente della nostrana Elisa.
Splendidi gli assolo di Cody Lee Ford, sempre pregni di gusto sopraffino.
La formazione è costituita da Joel Ekelöf (voci), Martin Lopez (batteria), Lars Enok Åhlund (tastiere e chitarre), Cody Lee Ford (chitarre) e Oleksii “Zlatoyar” Kobel (basso).
Chiudo con una curiosità, tutti i titoli dei brani e degli album dei Soen sono costituiti da un’unica parola.
Orkan “Livsgaranti” (2022, Gamlestans-Grammofonbolag)
Gli Orkan sono svedesi e hanno la capacità di trasportare nel pieno delle boscose lande scandinave del terzo millennio le sonorità tipiche della Summer of Love della West Coast americana, Jefferson Airplane su tutti, arricchendole con elementi folk della loro terra, accentuati dal cantato in lingua madre, e con una struttura tendente al progressive che verrà, caratterizzata da ritmiche molto variegate e dalla ricchezza della strumentazione: flauto, clarinetto, sax, percussioni, armonica e fisarmonica che si vanno ad aggiungere a chitarre, basso, batteria e organo.
L’album è del 2022, ma lo inserisco in questo quartetto di novità perché merita assolutamente di essere divulgato visto che solo ora comincia ad avere una distribuzione, seppur sempre di nicchia.
La sequenza dei brani è splendida e lascia senza fiato, iniziando con “Urskog”, un mix di psichedelia/folk/prog con un sax di alta classe, e finendo con “Pangea”, dove la parte psych iniziale si fa più oscura per poi lasciarsi a un andamento liquido con cori coinvolgenti; nel mezzo la più dura “Leva för att dö”, la bellezza magica della title track che si chiude con un finale travolgente, le due parti di “Vägrar vara tyst”, una piu delicata e sognante e una leggermente più ruvida, la vivace e dinamica “Sussie” e il prog psych di “Ditt fel”.
Da ascoltare, senza se e senza ma.
La formazione a trazione femminile è la seguente: Theresia Dufva (basso, cello, cori), Josefine Green (chitarra elettrica, voce, armonica e flauto), Moa-Linn Rosenlöf (batteria, voce, percussioni e clarinetto), Fredrik Pettersson (chitarra elettrica e acustica, cori), Kim Bertilsson (sax), Sebastian Urquiaga Sandoval (organo, cori), Philip Fritz (fisarmonica) e Johanna Björnler (cori)