Si sottolinea da più parti la longevità dei Black Lips, ricordandone sempre la soglia ventennale della carriera. A mio parere tale circostanza gioca a loro favore in quanto la peculiare eterogeneità di stili contenuta in “Apocalypse Love” ne rimarca l’assoluta freschezza della proposta, nonostante il gruppo abbia raggiunto il traguardo del decimo album. La definizione di garage rock coniata agli esordi sta sempre più stretta agli americani e la conferma su Fire Records ne attesta la rinnovata deriva country di alcuni brani.

Il country, così come altre innumerevoli influenze (comprese schegge di surf o atmosfere cinematografiche di lynchiana o tarantiniana memoria) vengono però immerse, spesso con l’ausilio dell’amato piglio psichedelico, in un melting pot sonoro tanto stravagante quanto efficace. Il mood generale è perlopiù gioiosamente freak e molti hanno correttamente indicato come questo album potesse essere visto come la loro personale versione di un album dance.

Colori vivaci, melodie frizzanti e riff garage punk. I due parole: Black Lips.

A parte un paio di tracce non proprio memorabili (penso a “Crying on a Plane” ) o alcuni spunti interessanti che avrebbero potuto esser sviluppati meglio – ad esempio il pattern ritmico gustosissimo di una “Sharing my cream” non è seguito da una melodia all’altezza di tale intuizione – , la scaletta regge per la quasi totalità della durata.

L’ascolto rimane desto grazie alle sempre vivaci invenzioni disseminate in ogni brano, senza che si sia forzata eccessivamente la mano sulla stravaganza ad ogni costo, ma sempre all’interno di una scrittura coerente dove non si perde mai il confine della forma canzone.

Ascoltatelo, non vi deluderà.