In quasi cinque lustri la band australiana, di Hobart in Tasmanaia, ha saputo costruirsi una credibilità all’interno dei reticolati del metal estremo, in particolare il death metal. Merito della tenacia con cui i fratelli Joe e David Haley, hanno tenuto le redini della band, anche nei momenti più difficili. Questo nono album di studio, il primo per l’etichetta americana Prosthetic, potrebbe regalargli una nuova vetrina.

I motivi sono tanti: non è solo un assalto all’arma bianca “Divine Council” degli Psycroptic, al suo interno sono contenuti riff tanto complessi nello svolgimento, quanto diretti nell’ottenere un risultato, quello di esaltare l’ascoltatore incline a sonorità estreme. Infatti sin dall’opener “Rend Asunder” le vibrazioni sono assicurate. Colpisce e sorprende la cura donata dagli australiani ai singoli pattern, che si incastrano perfettamente nell’idea di fondo. E nonostante lo sviluppo intricato, il risultato é paradossalmente equilibrato. Dimenticate gli estremismi improntati solo su velocità cieche, qui trovate acume, cervello e capacità tecniche e compositive, in eccesso. 

E questo non significa necessariamente avere un approccio progressivo, che comunque per certi versi si riscontra, bensì operare con parsimonia, pur all’interno di un genere, il death metal, che sembra non prevederne. A livello di riffing in particolare una certa componente core non viene eccessivamente dissimulata. E questo, unito con una sezione ritmica adeguata, dà quel piacere che spesso non provo ascoltando certi dischi di questo stile.