Parte con timpani e tom l’ultima fatica (è proprio il caso di dirlo) dei Meshuggah, che li vede debuttare con la neonata Atomic Fire, un’etichetta che sembra essere arrivata sul mercato con le idee molto chiare, visto il catalogo eccellente che sta allestendo in pochi mesi di attività (Amorphis, Sonat Arctica, Helloween, The 69 Eyes…).
Ed è un’intro, quella di “Broken Cog”, riuscita e che fa da preludio ad un lavoro riuscito, intrigante. E chi scrive non aveva mai particolarmente approfondito i Meshuggah, pur ricordando chiaramente lo stordimento per l’ascolto notturno di “Chaosphere”, comprato all’epoca per pura curiosità. La stessa che mi ha spinto ad ascoltare quest’ultimo “Immutable”. Anche su spinta di alcuni conoscenti che stravedono per questi devastatori metal del nord Europa.
Ma attenzione, parliamo di gente che sa dove vuole andare a parare, cioé dove gli “altri” solitamente non arrivano. I tempi sghembi dei Meshuggah ormai sono leggendari da anni, così come le chitarre accordate basse e il riffing insistente, monolitico e per qualcuno vagamente monotematico. Una band completa ed ostinata, che ha creato un seguito fedele e persino i Metallica, prima di licenziare “St. Anger”, avevano dichiarato la loro vicinanza, solo di stima, a modesto parere di chi scrive, con questi mostri di tecnica. Che, anche nei tecnicismi di “Phantoms”, confermano di non inseguire le soluzioni tipiche dell’estremo in metal, ma di aggiornare l’indice, con la loro personalità straripante.
Scordatevi tupatupa continui, tappeti senza soluzione di continuità di doppio pedale. Qui siamo su altri lidi, con atmosfere addirittura space metal in alcuni casi (ascoltare l’inizio di “The Abysmal Eye”), con un cantato rabbioso e dritto in faccia. Con una perfezione matematica sulle tempistiche aliene dettate dal drumming diabolico e chirurgico di Tomas Haake.
“Immutable”, è un lavoro monolitico, un disco potentissimo, un album immutabile.