Un bel ritorno per il re del (fun) rock americano!

Da anni i Red Hot Chili Peppers, protagonisti assoluti di quella stagione di rinascita che fu il rock a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’avvento del nuovo decennio, si muovono agili tra riconoscenti, grandezza ed un rock che nel tempo si è fatto più lucido e meno rocambolesco. In una zona di conforto, che ha prodotto alcuni album dimenticabili.

Ma il ritorno chiacchierato ed auspicato dai fan, del chitarrista John Frusciante (un giorno in molti rivaluteranno il lavoro del defenestrato Josh Klinghoffer) e di Rick Rubin in cabina di regia, ha naturalmente generato interesse e curiosità intorno a questo dodicesimo lavoro di studio.

C’è leggerezza superflua (“White Braids & Pillow Chair” è davvero troppo semplice…), passaggi jazz interessanti in “It’s Only Natural”, qualche ballata di troppo, con Anthony Kiedis che gioca a fare troppo il romanticone “Not The One” per esempio, ma con un Flea che trova comunque lo spazio per buttare dentro i suoi giri caldi e roboanti: “Poster Child” e “Aquatic Mouth Dance”.

Se invece volete sentire i classici peperoncini rossi piccanti, ascoltatevi “Here Ever After” e “One Way Traffic”, spinte con la consueta energia dalla sezione ritmica, con la batteria di Chad Smith mai doma. Per un balzo in avanti il premio tocca a “The Heavy Wing”, forse il brano più coraggioso ed atipico, giocato su echi ed un’atmosfera quasi sixties.

Come dicevamo, il periodo discolo, colorato, irriverente di “Freaky Styley”, “Mother’s Milk” e del capolavoro “Blood, Sugar, Sex, Magik”, è naturalmente lontano e forse dimenticato. La chiamano maturità. Ciò non toglie che “Unlimited Live” sia un buon album, troppo lungo nei suoi 73 minuti, ma che ne offre almeno quaranta di buon livello.