La recentissima ristampa dei due album della band ci permette di parlare dei Sorcery e di fare un percorso attraverso i meandri dell’underground.

Innanzitutto, occorre sgombrare il campo dagli equivoci e specificare che la band di cui stiamo parlando è di Chicago e il suo embrione prende vita nella prima parte degli anni ‘70, per cui non bisogna confonderla con l’omonimo gruppo losangeliano, attivo tra la fine della stessa decade e la prima metà degli ‘80, noto per l’album “Stunt rock” (1978, Emi), tantomeno con i Sorcery svedesi appartenenti al filone death e attivi parecchi anni più tardi.

I nostri nascono dall’amicizia di Paul Koster e Kirk Bryk e dalla loro idea comune di formare una band in cui far confluire le rispettive variegate influenze: Mountain, Wishbone Ash, Frank Zappa, Captain Beyond, Hawkwind, Black Sabbath,..

Piano piano le cose si fanno sempre più serie e nel 1975 prendono il nome Sorcery.

Con l’inserimento di John Mrozek alla batteria e Chuck Dorrington al basso, la band inizia un biennio nel quale mette in campo tutti gli elementi necessari ad una sana “gavetta”: ore e ore in sala prove (e a casa), concerti infuocati ovunque, in qualsiasi condizione e nelle più svariate location.

Quando pare che gli sforzi diano i loro frutti, Chuck e John non si sentono pronti a dare priorità alla band rispetto agli impegni personali, per cui si defilano.

Fortunatamente, dopo una breve pausa, il problema è risolto con l’entrata nella band di Dave Maycroft al basso, Kieron Hoening alla batteria e Tim Barrett alla voce.

Riprende un’intensa attività live che li porta ad entrare in studio nei primi mesi del 1978 per dare vita al loro esordio “Sinister soldiers”.

L’album rappresenta la loro vera anima live, dato che è stato registrato dall’intera band in presa diretta con pochissime sovraincisioni successive.

La musica si muove su coordinate care all’hard rock degli anni ‘70, ma in essa si sentono in maniera marcata i vagiti protometal che stanno gettando i semi per la decade che sta arrivando, soprattutto oltremanica.

Grande spazio viene lasciato alla solista che scorrazza inarrestabile a destra e a manca, manifestandosi come elemento dominante della band.

“Arachnoid” anticipa i primi AngelWitch, mentre “Fly the sky” si muove anch’essa su territori premonitori della nwobhm per poi lasciare spazio all’ambientazione settantiana della strumentale “Sugar sweet lady” in cui l’influenza dei già citati Wishbone Ash fa capolino.

“Last Good-bye” è il pezzo clou dell’album, uno di quei brani che qualsiasi band underground vorrebbe scrivere, dove la drammaticità del titolo viene magistralmente interpretata dalla voce e da infiniti e ispirati assoli.

“Slippin away” strizza l’occhio agli Armageddon, “Snowshit” e “Airborne” uniscono alla perfezione l’indole protometal con quella hard settantiana, mentre in “Sorcerer” e in “Schitzoid” prevale nettamente la prima.

Da notare l’aggiunta di due bonus sotto il nome Wicked Head, altro progetto correlato di Kirk Bryk.

A seguito dell’uscita dell’album, la band riprende le esibizioni dal vivo, ma di lì a poco subisce due defezioni: la prima è quella del fondatore Paul Koster che, per motivi personali, lascia il posto a Mike Shadel; la seconda è quella del vocalist Tim Barrett, che la band avvicenda con Jim Kelly, la cui voce è ritenuta più aggressiva e adatta al sound.

A metà del 1979 i Sorcery tornano in studio per il secondo album, “Till death do we part”, in cui, godendo dell’esperienza maturata, le varie parti vengo registrate separatamente.

L’album esce nel 1980 e subito la band si mette in tour per promuoverlo, senza contare l’uscita di un paio di video clip (“The ogre” e “Fly away”) per la nascente MTV.

Con l’ingresso del nuovo cantante e con due anni di esperienza in più, il suono della band acquisisce potenza anche grazie ad una registrazione migliore.

“Ogre” porta il suono su sponda americana con un grande refrain, “Ruby red” fa andare le tacche dei decibel proprio sul rosso, “Fly away” cerca di avvicinarsi a “Last good-bye” del precedente, mentre “Right to survive” torna su territori della scena metal che si sta delineando.

La title track tiene fede al nome sinistro della band e alle sue copertine, presentandoci un brano teatrale e molto originale, quasi come se i Black Widow flirtassero con Alice Cooper.

Ancora un heavy rock a stelle e strisce caratterizza “Borderline”, “Running” e “Barbara”.

Anche qui troviamo due bonus, una sempre tratta dal progetto Wicked Head del 1983 e una in cui la “Slippin away” del disco precedente viene reinterpretata dal nuovo vocalist.

Nel 1981 la band è nuovamente in studio per le registrazioni del terzo album, prodotto da Tom Miller e da Kirk Bryk, ma la casa discografica si rifiuta di realizzarlo poiché vorrebbe un sound più commerciale non gradito al gruppo.

Di fatto si decreta la fine della storia e l’inizio del culto, anche se nel 1982 il nuovo management li convince a proseguire come The Kirk Brik Band (da notare il nome del chitarrista con la “i” al posto della “y”), ma tutto ciò procura solo un 7”, “Fast car”, contenente il brano omonimo e “Answers”.

Un plauso alla Cult Metal Classics per aver ristampato in lp e cd in edizione limitata due album da culto che ormai erano difficilmente reperibili se non mettendo mano al portafoglio in maniera consistente, soprattutto per il secondo album.