So cosa vi aspettate…una recensione in cui vi dico che l’ultimo album dei Cryptopsy ha una batteria tellurica, suonata dal mitico Flo Mounier, un cantato indiavolato, asce chirurgiche. Tutto vero, intendiamoci, ma non voglio scrivere la “solita” recensione. Quindi vi parlerò di quello che ho sentito durante l’ascolto di “As Gomorrah burns“. E non so se questo vi piacerà, avviso. Perché si parla di demoni che si muovono aizzati da frequenze troppo intense per avvicinarsi al sentore umano per come lo percepiamo, succubi di una narrazione annacquata e scontata, quotidianamente.

Ed è proprio “intensità” la parola che si sposa meglio con quest’ultimo full dei canadesi Cryptopsy. Poco respiro, in tutti i sensi. Una sensazione soffocante che però permette di ragionare su di sè, su chi si è, anche e soprattutto guardando in faccia i demoni interiori che ci permettono, a loro volta, di essere unici. Di perseguire quello che ci fa essere noi fino in fondo. Travalicando dettami e le sperequazioni sociali che annientano le nostre vite, probabilmente, in fondo, anche di chi si presenta come noncurante. Rasoiate continue che, se vissute fino in fondo, sono in grado di tranciare carni e anime: sangue ovunque.

Ma io ho 40 anni. E i Cryptopsy mi avevano già aperto a metà, dopo mesi di ascolto, con quel cd di “Whisper supremacy“. Un disco preso come “omaggio” dopo numerosi acquisti al glorioso negozio di dischi Pentagramma di Verona. Erano i primi 2000, e io in quel lavoro non ci entrai subito. Ma un giorno, mentre andavo in bici con il mio fedele lettore cd, ho avuto un “click” mentale: “cosa cazzo fanno questi”? Probabilmente stavo ascoltando “White worms“. Ma ora è cambiato tutto, e non solo per me. Ma ci sta che la musica è emozione, beh, ammetto: mi emozionano meno. Ma live, già lo so, sarebbe diverso.

I Cryptopsy vi avvisano: ai loro concerti portate sempre i tappi per le orecchie.

I Cryptopsy sono mutati ancora di più di me, forse. Sicuramente non c’è più il vocione hardcore di Di Salvo, ma cosa voglio dire a Matt McGachy? Che leggendolo in italiano, il suo cognome, mi sembra di sentire “Mengacci”? Eddai. A dirla tutta è pure meglio di Lord Worm, quel mitico vocalist che non mi è mai davvero piaciuto. Di sicuro si può rilevare che “In Abeyance” è un singolo che funziona bene, compatto e distruttivo. E cosa ti vuoi aspettare dai Cryptopsy? Melassa? Direi di no. E questo è un vantaggio, ma forse solo nel mio sentore, ormai attorniato da decine di epigoni dei gruppi, rigorosamente female fronted, più sympho del mondo. 

Niente di male – intendiamoci che su internet sennò si finisce direttamente dall’anonimato alla lapidazione via social – sul fatto che le donne siano entrate nel mondo metallico, e lo forgino con le loro sapienti mani, ma il sottoscritto preferisce l’extreme metal. C’è solo da capire se per incaponimento personale o per reale passione dite? Tant’è. Tornando sui passi recensivi si può semmai dire che effettivamente dall’ultimo disco dei Cryptopsy (2012) sono passati 11 anni, anche se, ad essere onesti, sono usciti due ep (2015 e 2018), peraltro niente male (il video di “Detritus” è clamoroso e mette in risalto proprio quello che i Cryptopsy vogliono mettere davanti: la loro mostruosa superiorità tecnico/brutale). 

Se volete saperne di più…ascoltatelo su Spotify. O, se vi piace approfondire, compratevelo in formato fisico. Attenzione però: la cover potrebbe spaventare la vostra ragazza.