D’accordo, il nome in italiano non suona proprio bene… ma la musica sì! Perché però, vi chiederete, recensire gli Asinhell, quindi proprio questa death metal band tra le tantissime disponibili sul panorama? Domanda legittima. La risposta, schietta: è fondata, e ci suona la chitarra, Micheal Poulsen, chitarrista e cantante dei ben più celebri Volbeat. Tanto basta, anche se la torta è completata dalla presenza di Hansen dei Raunchy alla batteria e da quella dell’ex Morgoth Marc Grewe (nomen omen).
Ed è una torta vera, gustosa. Per me è proprio questa la sorpresa, che mi porta a spendere tempo ed energie per dirvi: ascoltate questo disco dal nome incomprensibile nella nostra terra natìa. Questo lavoro è davvero ancorato al death metal old school. E gli Asinhell non hanno timore di rallentare, di portare in dote mid-tempo che NON annoiano. E questo è molto bello, per me, che, ammetto, dopo tanti ascolti fatico a trovare l’entusiasmo di un tempo quando ascolto il genere che, vi sia chiaro, amo.
Zero macchiette quindi. Poulsen ha scritto dei riff cazzuti, usando sia i classici sedicesimi zanzarosi, spesso travisati sotto dosi di intelligenti palm mute a dare dinamica ai pezzi, ma pure tanti riff a là Volbeat, trascinanti e convincenti: in-ci-si-vi. Intro come quella di “Island of the dead man“, forse la migliore del lotto, sono tanto semplici quanto efficaci, con quel crash stoppato e quel suono che arriva così grosso, prodotto come dovrebbe essere un disco old school. E pure i soletti che fanno capolino in “The ultimate sin” e “Wolfpack laws” non sono vani nel tessuto sonoro generale.
Che si innesta su una batteria convincente, sulla quale Hansen esagera senza esagerare. E forse è anche questo a rendere vincente il lavoro: quella voglia di arrivare al punto. Ma il fatto ulteriore, e non scontato, è che i ragazzi hanno gli strumenti per farlo. Eccome. Ad aiutare la voce variegata di Grewe, che aggiunge qualche tocco di dinamica in più ad un genere che, comunque, fa proprio del suono granitico, che non manca certo al 53enne. A proposito di età, va detto che la differenza vera la fa però il 48enne Poulsen, che ha dichiarato alla rivista italiana “Rock Hard”, che i riff sono usciti in maniera spontanea, sull’onda di una passione mai sopita per il death metal.
Anticipo sterili polemiche: secondo voi Poulsen potrà essere tacciato di “marketing” musicale nella scelta di fare un disco death? Andiamo, credo che questo esordio sia inattaccabile anche, e non solo, su questo. E ancor più bello è sapere che questa colata death tendente sarà portata su palchi ben più grandi e “generalisti” di quelli su cui, solitamente, viene suonato il genere. Nessuno schifo in queste mie parole, ma sono curioso di vedere “come va a finire”.