Prontuario scritto e pensato per non affogare nel letame musicale!!
Non sono un tipo da spiaggia. Nel senso che se sono in ferie al mare non riesco a farmi sedute di autogrigliatura di ore, ma preferisco scegliere una meta che mi dia anche, e soprattutto, la possibilità di esplorare luoghi, musei, trattorie, che abbiano una loro storia, strettamente collegata, è inevitabile, alle persone che in quel posto vivono, con storie, ricordi, esperienze che poi mi restano come fotografie della memoria. In un paesino sul mare, un luogo relativamente turistico, gironzolando quindi alla ricerca di qualche evento culturale che mi salvasse dalle classiche vasche intruppato tra plotoni di stanchi bovini sciabattanti, e in mancanza di qualsiasi proposta musicale, ho optato per la presentazione di un libro in una piazzetta. Non conoscevo l’autore, ma il titolo del libro in questione, Guida psicogeografica per autostoppisti, mi ha perlomeno incuriosito. È stata una buona scelta (insomma, più che una scelta era l’unica opzione) perché l’autore, Michele Monina, si è rivelato un abile narratore di storie, personali e non, storie che mi hanno interessato, divertito, e che hanno dato un senso alla serata.
Ho così scoperto che Monina è un noto, forse uno dei più noti (quindi ignoranza mia), critici musicali nazionali, collaboratore di radio, televisioni e testate giornalistiche. E appena ho visto uno dei suoi libri sul banchetto della presentazione, non ho potuto fare a meno di comprarlo. Anche solo per il titolo: Manuale di sopravvivenza alla musica demmerda. Titolo che già fornisce un indizio sull’approccio scelto dall’autore, perfettamente in linea con il suo definirsi un ex punkettaro che non le manda a dire. Chiariamo subito, qui non si parla di musica di base, di underground, di band di culto o di nicchia, ma di musica pop, quella che vediamo in televisione, nei talent, alle grandi dirette-evento nelle arene, anche nella nostra Arena. Musica demmerda, appunto, che nella parola pop contiene un minestrone di indie, cantautori, trap, rap, hip-hop, programmazioni radio, Sanremo, Music Awards vari, talent show, gestione dei concerti live con relative modalità di ticketing, grossi nomi della musica italiana (chiamiamoli pure intoccabili). Intoccabili non per lui, che ci va giù pesante, sempre, senza pietà per nessuno. Tanto per capire, con le sue stesse parole, ecco alcuni titoli a caso degli articoli raccolti nel libro: Cantautori stocazzo; La musica è finita, gli Amici se ne vanno; L’oggi non si merita la musica; Salviamo Battisti da chi vuole salvare Battisti; Stravinskji ci dice che la trap fa cagare; Superospite de che?; Un giorno all’inferno, le radio; Eros Ramazzotti e la sindrome di Lino Banfi; Laura Pausini: “Potevi intitolarlo a cazzo di canè”, e via così. Articoli divertenti e dissacranti, non certo adatti a chi è abituato a leggere che è tutto bello, che le classifiche sono piene di grandi e originali artisti. E infatti gli artisti in questione, anche loro poverini ormai non più abituati a ricevere qualsivoglia critica, spesso ribattono per le rime, scatenando vere e proprie guerre social, con eserciti di haters pronti a crocifiggere il critico cattivo.
È un intero universo sinceramente a me poco noto, qui si sta parlando di un empireo musicale che noi poveri appassionati di musica rock o underground nemmeno consideriamo; ma è proprio questo il punto, perché quando si parla di musica, quella che si accompagna al simbolo del dollaro, è di questa musica che si parla. E quindi, da ignorante e – per fortuna – esterno a questo mondo, volevo capire. Michele Monina aiuta senza dubbio a fare luce su tante cose, perché scava impietosamente nei meccanismi che governano i talent, Sanremo, le programmazioni radio, la gestione dei concerti live, gli inganni nascosti dietro le classifiche contaminate dai download di musica liquida, facendo nomi e cognomi di triadi di potere, eminenze grigie che gestiscono a piacere le classifiche, e tanti altri orrori che tutti, senza dubbio, conoscono perché a pensare male non si sbaglia mai, ma che approfonditi risultano molto più catastrofici di quanto si possa immaginare. E così si capisce meglio del perché la musica sta andando a puttane. Insomma, “c’è del marcio in Danimarca”, ma molto più di quanto si pensi. Allora ti ringrazio Michele, sono ancora più contento, a questo punto, di non avere nulla a che fare con tutto questo sistema, di suonare in pub dove la musica, seppure serva perlopiù a vendere birre, perlomeno si mantiene pura, onesta, pulita. Anche se c’è un ma, e lo dirò con le sue parole: “Per non dire delle cover band, che sono un male dei nostri tempi, uniche tristi realtà a muoversi nel sottobosco dei locali, sorta di imitatori allo sbaraglio che tengono in ostaggio la musica dal vivo dal basso”. Siamo pochi, siamo sfigati, non contiamo un cazzo: ma difendiamola, sta musica.
L’alternativa è rassegnarsi e seguire il consiglio (ironico) di Michele Monina: “Ascoltate merda, milioni di mosche non possono sbagliare”.