Avevo affermato che non avrei più trattato album del 2023, ma le difficoltà distributive e il merito mi inducono senza remore a parlare dei Karmic Juggernaut.

Peraltro, non è solo l’occasione di far conoscere una band eccellente, ma anche quella di dissertare sul concetto di progressive… rientra in questa categorizzazione chi è totalmente ispirato a band come Genesis, Yes, Jethro Tull, King Crimson,… oppure chi, pur avendo come tutti svariate influenze, ha il coraggio di osare e di uscire ulteriormente dagli schemi proponendo qualcosa di “diverso” e meno inflazionato?

Trattandosi di argomento difficile e suscettibile di contraddizioni e seguendo la mia sensibilità d’ascolto, distinguo tra chi meramente suona musica prog e chi è prog nell’anima… ecco, i Karmic Juggernaut rientrano senza ombra di dubbio in questa seconda casistica.

Si formano nel 2004 nel New Jersey e i membri fondatori sono Kevin Grossman, James McCaffrey e Randy Preston che frequentavano la stessa scuola.

Dal punto di vista discografico hanno all’attivo due mini, l’omonimo (2012) e “Great again!” (2018), e due album, “The dreams that stuff are made of” (2019) e il recente “Phantasmagloria” cui si riferisce la mia recensione.

Si tratta di rock progressive ad alto contenuto hard, psych e con spunti jazz, suonato in maniera eccellente e che richiama molteplici riferimenti: gli Yes più intricati e cerebrali, la follia compositiva di Zappa, la furia psichedelica dei Mars Volta e la creatività dei Naked Sun (questi ultimi vanno assolutamente riscoperti).

L’album inizia e finisce con intro e outro che richiamano il nome dell’etichetta e, in stile cinematografico, garantiscono presentazione e titoli di coda dell’opera… davvero originale.

Nel mezzo parla la musica, partendo dalla furibonda “Flat earthlings” in cui la sezione ritmica impazza a destra e a manca con cambi di tempo continui per sostenere la struttura musicale su cui si staglia la voce di Daimon Santa Maria, molto acuta ed espressiva, ispirata a Jon Anderson e, in taluni momenti, anche a Dave Surkamp degli enormi Pavlov’s Dog.

“Sun puzzle” è il singolo e detta così farebbe pensare a un brano più accessibile, ma nulla di più errato, dato che ci si trova di fronte ad un caleidoscopio musicale, dove tutti sono protagonisti, dall’accoppiata basso-batteria che ancora detta tempi vari e impossibili, alle chitarre e i synth, cui si aggiungono il flauto suonato dallo stesso Daimon e il theremin, con le sue linee vocali cristalline e ficcanti.

Tanto furore progressivo viene mitigato da “Psaiko”, un pezzo interamente strumentale e percussivo che testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, il talento di Kevin Grossman dietro le pelli.

Gli americani Karmic Juggernaut sono tra i massimo esponenti di quello che dovrebbe realmente essere il prog rock, e questo nuovo album ne è la conferma.

L’inizio dilatato dei sette minuti di “Dream machine” inganna, ma un crescendo graduale e inesorabile la trasformano in un brano totale e travolgente da cui emergono elementi jazz, comunque più marcati nelle produzioni precedenti, e la presenza dei fiati.

Applausi anche per la funambolica “Atomus camera obscura” che, insieme alla breve “Succumb to the static”, anticipa il gran finale della title track, un capolavoro poliedrico in cui la parte iniziale farebbe presagire una sorta di ballad non banale, per trasformarsi improvvisamente in una furia progressiva che trasporta ad una parte corale tanto maestosa quanto accattivante, prima di chiudere raggiungendo la pace necessaria per essere consapevoli di aver vissuto un’esperienza d’ascolto indimenticabile.

Band:

Kevin Grossman – batteria e percussioni

Jake Hughes – tastiere

James McCaffrey – chitarra, cori

Cody McCorry – basso e theremin

Randy Preston – chitarra

Daimon Santa Maria – voce e flauto

Ospiti:

Joe Gullace – tromba

Ian Gray – trombone