La redazione di Back in Rock si occupa, prevalentemente, di recensire album inediti di recente pubblicazione oppure nuove ristampe di opere del passato.
In questo caso ci troviamo in una situazione perfettamente a metà, infatti “The suite” degli australiani Aragorn, dal punto di vista discografico, è a tutti gli effetti una novità, ma la composizione e la registrazione risalgono al 1973, per cui siamo di fronte a musica che vede la luce dopo ben cinquant’anni.
La band si forma nel 1972; nel 1973 registra l’album che non vedrà la luce, per poi, nel 1974, cessare la propria attività e riformarsi sotto il nuovo moniker di Snakes Alive, incidendo, nel 1975, un album omonimo stampato in sole cinquanta copie che diventerà chimera nel mondo collezionistico fino alla riedizione in vinile del 2020, preceduta da una versione giapponese in cd del 2017, senza considerare quella pirata di qualche anno prima.
Gli Aragorn si possono quindi considerare come il preambolo degli Snakes Alive e “The suite” è un brano lungo quanto un album, interamente composto dal tastierista Oleg Ditrich che, forte di studi musicali classici e della grande influenza dal “Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien, ha lavorato al concept dal 1967, quando era quattordicenne, raccontando le vicende del protagonista del romanzo che dà il nome al gruppo.

“Creatures of the night” è dominata dal piano nella parte iniziale in attesa dell’intervento della voce con le sue melodie bucoliche e degli altri strumenti che timidamente si affacciano per poi deflagrare in “Rivendell” con tutti i connotati tipici del prog, compreso il flauto che fa emergere subito le influenze dei Jethro Tull in primis, ma sento analogie anche con due nostri orgogli nazionali, i New Trolls e i Delirium del terzo album.
“Wonder” è più dilatata e sono ancora forti gli spunti cari alla band di Ian Anderson, soprattutto per l’impostazione del cantato, ottimo l’assolo di chitarra da cui poi il brano si dipana in maniera libera e fluttuante col tastierista Oleg Ditrich sugli scudi.
Segue “Rivendell south”, finale dell’antecedente quasi omonima, che accompagna verso “Land of mordor”, pezzo in crescendo sia nella parte strumentale sia in quella vocale e con un flauto ispirato, proiettandoci verso la breve e dinamica “Trees and grass”, in attesa delle ritmiche dominate dal basso di “East of greyhaven” che con la sua ambientazione psichedelica di fatto chiude la prima parte (per i vinilisti).
Sensazioni acustiche sempre ispirate ai Jethro Tull rappresentano “A history book”, seguite da “Thunder” che, coerentemente al suo titolo, emerge per potenza, offrendo un saggio di ritmiche progressive furibonde in cui si esprime un flauto acido.
“Grove” e la successiva “Sky” scelgono la via del jazz prog, mostrando una invidiabile coesione tra i musicisti, per poi fare spazio all’introspettiva “Dark lord”.
Ancora un richiamo alla prima parte con “Rivendell east” che conduce verso il finale garantito dalla completezza di “Aragorn”, dalla ruvida “End of time” e dalla corale “Dance of the ring”.
Si chiude quindi un album magnifico che ho descritto brano per brano senza dimenticare che si tratta di un’opera unica, piacevolmente scorrevole attraverso tutte le sue sfaccettature che ne determinano una varietà compositiva tipica di quell’epoca magica.
Merita una menzione la meravigliosa copertina apribile, compresa quella interna, che se l’avessi notata scartabellando tra gli scaffali di un negozio, senza conoscere il genere proposto, l’avrei associata al metal epico o al doom.
Un plauso, quindi, alla Merry Go Round e a tutte quelle etichette coraggiose e visionarie che con la loro passione e ricerca permettono che certe opere d’arte possano vedere la luce invece che perdersi nell’oblio.
Band:
Oleg Ditrich – piano, tastiere e voce
Jonas Sayewell – flauto, chitarre acustiche e voce
John Simpson – chitarre elettriche
Michael Vidale – basso
Peter Nykyruj – batteria e percussioni