Come si evince anche dal sottotitolo, i Green Lung provengono dalla Terra di Albione.

Nati nel 2018, hanno riscosso meritati consensi con i primi due album, “Woodland rites” (2019) e “Black harvest” (2021), in cui il doom di ispirazione sabbathiana flirta con la psichedelia e con l’occulto.

Dall’esperienza live maturata durante i tour, sono state gettate le basi del nuovo “This heathen land…” e bisogna dire che ciò ha permesso di superare a pieni voti il rischio sempre insito nella terza prova.

Infatti, ci troviamo al cospetto di un lavoro maturo, in cui testi e musica viaggiano all’unisono nei meandri della natura selvaggia inglese, ispirandosi al mondo delle Streghe di Pendle.

Paradossalmente, rispetto ai precedenti, il suono è più vario e meno occulto, lasciando trasparire maggiormente le atmosfere agresti e una sorta di panteismo, come in “The forest church” che, preceduta da un breve intro parlata, apre il disco con il botto, grazie a un riff doom potente, per poi proseguire su tappeti di organo e assoli splendidi che sorreggono un refrain magistrale.

Il doom è protagonista anche con “The ancient ways” all’inizio nella sua accezione epica per poi proseguire con quella più psichedelica.

“Mountain Throne” e “Hunters in the sky” si levano di dosso i panni della “musica del destino” per abbracciare un heavy più diretto, seppur sempre ispirato.

I rimandi occulti si manifestano in “Maxine (Witch Queen)”, più che per il suono per il riferimento alla moglie di Alex Sanders, esoterista britannico celebre per essere stato ispiratore dei Black Widow, mentre il brano, diretto e potente, unisce un gran lavoro di tastiere a melodie vocali ispirate, tanto da farmi venire alla mente i magnifici Bigelf (speriamo in un loro ritorno).

I riferimenti ai Black Widow non finiscono qui, ma proseguono con “Song of the stones” in cui una ritmica delicatamente tribale accompagna una folk boschivo, regalandoci un pezzo strepitoso.

La trasversalità della band ci permette di scomodare il termine “prog”: prima con “One for sorrow” che parte come una ballata doom per poi lasciare spazio ai tasti d’avorio e a diversi cambi di tempo; in chiusura con “Oceans of time”, progressive già dal titolo.

I Green Lung si confermano una band di grande levatura, dimostrandoci come si possa mixare i vari aspetti “colti” della musica heavy senza rinunciare alla ricerca della forma canzone.

Band:

Tom Templar – voce

Scott Black – chitarre

Joseph Ghast – basso

Matt Wiseman – batteria e percussioni

John Wright – tastiere, organi e synth