Secondo album che arriva dopo alcuni singoli ed ep, per questo quartetto di Los Angeles che è forse la cosa più eccitante emersa nel panorama classic rock negli ultimi anni. Sin dagli esordi del 2017 i Dirty Honey hanno scelto la strada più complessa per raggiungere la vetta, ancora lontana, ma meno lontana ogni giorno che passa. La strada è quella della costanza, degli obiettivi a breve termine che poi sommati diventano traguardi lontani. Suonare dal vivo il più possibile e in girare per il mondo, con notti insonni e mettendosi sulle spalle lunghi viaggi, data dopo data, città dopo città, nazione dopo nazione.
Queste undici nuove canzoni, hanno la stessa vitalità che trasmette la copertina che le protegge, colori accesi, voglia di saltare e divertimento, ma anche feeling e bellezza. Come riferimenti segnatevi Rolling Stones ed Aerosmith, ma anche Faces, Richie Kotzen ed eroi da culto come Cry Of Love e Tyler Bryant, quindi american rock inamidato di blues, con additivi a base di funky e soul. La voce di Marc Labelle è quella del fuoriclasse nascosto, possiede tutto per sorprendervi: timbro, tenuta, calore e non manca nemmeno l’attrattiva della presenza scenica.
Naturalmente su tutto c’è il talento e la scrittura: brani come “Don’t Put Out The Fire”, “Dirt Mind” (che riff, che ritornello!!!), “Get A Little High”, “Can’t Find The Brakes” sono l’essenza del rock dei seventies e pur suonando classiche portano in dote qualcosa di nuovo, di attuale. Lo dimostrano “Satisfied”, “You Make It All Right”, la ballata con umori AOR blues “Coming Home (Ballad Of The Shire)” e la conclusiva “Rebel Son”, turbina di southern rock che omaggia Lynyrd Skynyrd e Molly Hatchet contemporaneamente.
Se il classic rock è il vostro rifugio, i Dirty Honey con “Can’t Find The Brakes!” hanno le chiavi per farvi sentire al sicuro.