“Autista, alza quel cazzo di volume!” tuona il tizio seduto davanti a me, mentre ingurgita la sua terza birra nello spazio di pochi minuti. La gente attorno approva con un coro di grida scomposte e rutti che convincono l’autista – un pacioso signore di origini orientali –  a premere sul tasto del massimo volume. Siamo sul pullman organizzato per portare i fan di New York a East Rutherford – nel New Jersey – per il concerto di Metallica e Pantera. L’organizzatore del servizio di trasporto – un improbabile signore coi capelli viola e pantaloncini corti gialli – ha già sudato freddo perché il pullman è arrivato con un’ora di ritardo e già fioccavano minacce di rivolta. Tutto alla fine si sistema e le libagioni possono finalmente iniziare. Mi bevo rapidamente una birra ma impallidisco di fronte al simpatico ragazzo che sta accanto a me e che ha già fatto fuori metà bottiglia di bourbon. Si supera il fiume Hudson e si entra nel New Jersey. Non manca molto a East Rutherford ma dentro al pullman – un vecchio catorcio degli anni Settanta senza aria condizionata e un cesso da museo– la temperatura si fa sempre più calda. A pochi minuti dall’arrivo allo stadio scoppia la rivolta dei passeggeri, che aprono i finestroni ben poco flessibili del pullman, rischiando seriamente di spaccarli e farli piovere per strada. E per strada il traffico è già a livelli di guardia.

Per fortuna siamo giunti a destinazione. Il Metlife è uno stadio immenso. Contiene ottantamila spettatori e viene solitamente usato per le partite di football americano delle squadre newyorchesi. Il parcheggio si estende a perdita d’occhio: c’ è chi sta comodamente seduto su una sedia da campeggio a gustarsi un hot dog e chi si sta già spaccando le orecchie con musica ad altissimo volume che viene sputata fuori dalle casse delle auto.

Dopo un numero imprecisato di file e controlli, riesco finalmente ad entrare nel Metlife Stadium e la vista che mi presenta è di quelle che restano per sempre: ogni settore dello stadio è brulicante di gente, non ci sono posti vuoti, otto megaschermi si ergono in cielo come se fossero antiche divinità egiziane. Proprio nel momento in cui entro, i primi accordi di “A New Level” dei Pantera provoca un boato di proporzioni bibliche mentre sotto il palco è già un turbinio di corpi sudati. Phil Anselmo non terrà più il palco come trent’anni fa ma appare più tonico rispetto alle esibizioni con gli Illegals. Del resto, la band che lo accompagna è di prim’ordine: oltre allo storico bassista Rex Brown, ci sono Charlie Benante degli Anthrax e Zakk Wylde alla chitarra, che riescono nell’impresa di non far rimpiangere i fratelli Darrell. “Mouth of War”,“Strength Beyond Strength” e “Becoming” fanno alzare la temperatura e preparano al botto di “I’m broken”, vero inno  degli Anni Novanta (e forse anche di tutto il genere). Sugli arpeggi iniziali di “Cemetary Gates” scorrono le immagini degli indimenticati Dimebag e Vinnie Darrell, e non può non venire un pizzico di nostalgia per i tempi che furono ma anche per quello che hanno rappresentato i due musicisti. Ma ci pensano le ritmiche schiacciasassi di “5 minutes alone” a ridestare gli animi. Zakk Wylde non rinuncia al suo inconfondibile stile ma, al tempo stesso, riproduce fedelmente il suono e l’intensità di Dimebag, come solo un grande chitarrista può fare. L’incipit di “This Love” è visibilmente abbassato di tono ma colpisce al cuore, in puro stile Pantera. Il resto è un crescendo di aggressione sonora con “Fucking Hostile”, “Domination” e “Cowboys From Hell”, che lanciò definitivamente il quartetto texano nel lontano 1990 e che conclude una esibizione di alto livello che costituisce il degno antipasto per il concerto dei Metallica.

I Four Horsemen hanno da poco iniziato il loro mastodontico M72 tour che li porterà in giro per il mondo fino all’autunno del prossimo anno. Quella di oggi è una data importante poiché è il primo concerto del tour nel continente nordamericano ma anche il giorno successivo al sessantesimo compleanno di James Hetfield. E infatti durante il concerto non mancherà il momento in cui la band festeggerà le sessanta candeline del cantante con gli ottantamila di East Rutherford. Come probabilmente sapete, ogni tappa del tour prevede due concerti in due giorni diversi e con due scalette diverse. Io scelgo la prima data che, dopo il classico inizio di Ennio Morricone, attacca con “Creeping Death”, che i Metallica suonarono per la prima volta quasi quarant’anni fa (era il 31 ottobre 1983). Il suono dal vivo è di grande qualità. Sembra a momenti di ascoltare uno stereo a tutto volume, con la differenza che le vibrazioni della musica dal vivo equivalgono a un flacone di steroidi. Si rimane nel repertorio anni Ottanta con “Harvester of Sorrow” con un James Hetfield che non ha perso un briciolo della sua potenza vocale rispetto ad allora mentre si sconfina nei Novanta con “Holier Than Thou”. Poiché il palco è proprio in mezzo allo stadio, i quattro cavalieri cambiano spesso posizione per accontentare tutti.

Durante il concerto verrà cambiata anche la disposizione della batteria per permettere a tutti di vedere Lars Ulrich. Un accorgimento già sperimentato in altri tour e sempre di grande effetto. Fa il suo figurone anche “King Nothing”, tratto dal tanto vituperato “Load” che personalmente ho rivalutato molto in questi ultimi anni e che, checchè se ne dica, rappresenta un passaggio coraggioso della discografia dei Metallica. Di grande effetto dal vivo anche “72 Seasons”, tratto dall’album uscito quest’anno, mentre non mi convince “If Darkness had a Son”, per i miei gusti troppo macchinosa e dal ritornello inconcludente. Si passa decisamente ad altri livelli con “Fade to Black”, le cui sonorità a metà via fra l’acustico e l’heavy metal conservano inalterate il loro fascino. Viene suonata per la prima volta in assoluta “Shadow Follow”, a mio avviso uno degli episodi più riusciti tratti dal “72 Seasons”, per poi tornare con “Orion” a un grande classico che anche dal vivo si conferma uno dei più bei pezzi strumentali che una band heavy metal abbia mai partorito.

Ma i Metallica piacciono anche perché non sono perfetti e non hanno paura di mettere a nudo i propri errori: Kirk Hammett attacca gli accordi di “Nothing Else Matters” ma qualcosa non va e dopo un po’ si ferma e dice: “no, ragazzi, scusate mi è riuscita male. Meritate meglio di così. Ora la rifacciamo”. Se non è questa onestà e rispetto per il pubblico… Si continua con i grandi successi del passato con “Sad But True” e “ Battery”, anche se quest’ultima viene eseguita in maniera un po’ confusionaria e mi lascia un po’ con l’amaro in bocca. “Fuel” dal vivo risulta sempre diretta e trascinante e poi gran finale con “Seek and Destroy” e “Master of Puppets”. Quelli di stasera sono stati dei grandi Metallica, più ispirati e a loro agio rispetto all’ultima volta che li ho visti a New York, nel settembre dello scorso anno, nel contesto del Global Citizen Festival. I Four Horsemen, nonostante l’età che avanza, sanno ancora regalare un concerto senza cali di tensione che parla a ogni singolo fan. Non scimmiottano il mix di rabbia e disperazione che fu alla base dei capolavori anni Ottanta ma esprimono una grinta più incanalata ma non per questo meno vera. Il tramonto della band è ancora ben lontano.