Rock glaciale…ecco la prima definizione che mi viene in mente ascoltando lo splendido “Hiartastjaki” degli Isafjord, ma, d’altra parte, come potrebbe essere diversamente visto la loro terra d’origine: l’Islanda.

Isafjørd è il progetto del duo costituito da Adalbjörn Tryggvason e Ragnar Solberg; il primo è voce principale dei mitici Sólstafir, band partita da suoni estremi, per poi evolversi in un misto di metal/post/goth rock con venature psych di grande impatto; mentre il secondo ha mostrato il suo talento, voce e chitarra, con l’heavy prog degli svedesi Pain of Salvation nonché nella sua band principale, i Sign.

Il nome scelto dalla band non è casuale e costituisce il trait d’union tra i due protagonisti in quanto i loro padri sono entrambi originari del paese islandese di Isafjørd, che tradotto significa fiordo di ghiaccio.

Mentre la musica dei Sólstafir è rappresentativa della loro terra grazie ai frequenti passaggi da melodie dilatate, come le sue lande desolate, a picchi epici e potenti, come l’impetuosità dei suoi torrenti unita alle esplosioni di vulcani e geyser, gli Isafjørd si esprimono in maniera prevalentemente rilassata con brani che conducono l’ascoltatore in un viaggio fluttuante  attraverso paesaggi gelidi, ma senza avere mai la sensazione di avere freddo… anzi!

L’inizio è affidato a “Falin skemmd” che esordisce con una chitarra acida su cui vanno a inserirsi ritmiche lente e tribali e a seguire le voci, dapprima sognanti e poi disperate nell’intenso finale, il tutto su un tappeto dettato da pianoforde ed effetti tastieristici.

“Min svarta hlio” è un brano ancora più introspettivo del precedente e poggia sull’alternanza vocale, scandendo melodie eteree.

L’atmosfera sognante della title-track è caratterizzata da un andamento più dinamico su cui poi trovano spazio elementi prog con uno splendido mellotron a crearne la base.

Il pianoforte introduce “Heidin”, altro brano all’insegna della delicatezza nella parte iniziale con melodie vocali che si alternano nelle diverse timbriche del duo per poi sfociare in un finale prog con una breve sfumatura hard.

L’introspezione che caratterizza “Kuldaro” abbraccia sonorità dark e termina in ambiente quasi hard.

“Fjord of hope” è una ballata onirica in cui sono ancora protagoniste le due voci che si esprimono con toni drammatici.

La solista, a tratti psichedelica, prende il suo spazio in “Njálssaga” che termina con incedere progressivo.

Con “Andvök” cala l’oscurità; brano avvolgente che regala una degna conclusione a un album meraviglioso.

Nota finale per la splendida copertina apribile (nella versione in vinile) caratterizzata, esternamente e internamente, da fotografie di Gunnar Gudmundsson risalenti alla prima metà del ‘900.