In supporto al loro ultimo album “The Great Heathen Army”, gli Amon Amarth si imbarcano (con nave vichinga, beninteso!) in un tour americano di tre mesi portandosi dietro niente meno che i Carcass (per loro primo tour USA da sei anni a questa parte) e gli Obituary (che pubblicheranno il 13 gennaio il loro nuovo disco, “Dying of Everything”). Il pubblico è quello delle grandi occasioni: l’Hammerstein Ballroom è quasi al completo. Di meglio faranno solo i Måneskin, che riempiranno per intero lo stesso posto solo il giorno dopo.

A scaldare gli animi ci pensano gli Obituary con “Redneck Stomp”, divenuto ormai un classico brano di apertura della band floridiana dopo l’intro di “Snorting Whiskey” di Pat Travers. I nostri non hanno molto tempo a disposizione e non suoneranno alcuni classici della band, come “Slowly We Rot”. Senza troppe chiacchiere, però, passano subito al dunque con le brutali “Sentence Day” e “A Lesson in Vengeance”. La band è compatta ma su tutti dominano le figure lungocrinite di John Tardy al microfono e Trevor Peres alle chitarre, vere bandiere del genere death metal. Donald Tardy alla batteria si nota di meno ma è forse l’anima del gruppo, sempre pronto a sbracciarsi e andare fuori di testa durante i ritmi più incalzanti. Prima di chiudere la breve esibizione, c’è spazio per la cover dei Celtic Frost, “Circle Of Tyrants”, e per qualche altro pezzo classico, come “I’m In Pain” e “Don’t Care”.

Se gli Obituary non deludono, non da meno sono i Carcass, un altro pilastro del death metal. Il gruppo di Liverpool punta subito sul vecchio repertorio aprendo con “Buried Dreams” (dallo storico Heartwork) e “Incarnated Solvent Abuse” (dal patologico “Necroticism Descanting the Insalubrious”). Jeff Walker e Bill Steer rimangono i veri cantori della sala operatoria, i loro pezzi la colonna sonora delle autopsie più complicate. Del resto, come dimenticare che i nostri ormai stagionati eroi trassero spunto per i loro testo dalla lettura dei libri universitari di anatomopatologia? Non mancano i pezzi tratti dall’ultimo album, come “Kelly’s Meat Emporium” ma sono sempre i classici a farla da padrone. “This Mortal Coil” e “Heartwork” scatenano il putiferio e con “Corporeal Jigsore Quandary” l’Hammerstein Ballroom diventa un turbinio di corpi simili a molecole impazzite. Una ragazza, dall’aspetto piuttosto timido, che si trovava davanti a me si gira quasi spaventata, guardando dietro di me. Quasi quasi le chiedo se ha bisogno di aiuto ma mi rendo conto di non aver capito nulla. In men che non si dica, la ragazza si getta in una mischia furibonda a pochi passsi dalle mie spalle, facendosi spazio fra marcantoni e gente fuori controllo. Rimango allibito (e anche un po’ imbarazzato per me stesso) mentre “Carneous Cacoffiny” chiude un’esibizione la cui unica macchia è quella di non aver proposto alcun brano tratto da “Swansong”.  Lo so, per molti è il disco peggiore dei Carcass. Per me, il gioiello da scoprire.  

Il tempo di mettere via strumenti chirurgici e libri di medicina e arrivano i vichinghi. Gli Amon Amarth si presentano sul palco accolti da lingue di fuoco e due gigantesche statue di guerrieri nordici. “Guardians of Asgaard” ci introduce subito in un mondo fatti di divinità nordiche, battaglie leggendarie e battaglie epiche. Il cantante Johann Hegg sembra un uomo catapultato dal medioevo: chioma bionda, barba lunga, Johann è il vichingo come ce lo immaginiamo tutti e anche un carismatico condottiero sul palco. Nessun esercito alle sue spalle ma un pubblico che si esalta per i suoi canti di guerra e che si lascia trascinare dalle cavalcate metalliche. “Deceiver of the Gods” e “Oden Owns You All” sono dei veri e propri poemi epici accompagnati da heavy metal. E che dire di “the Great Heathen Army”? A mio avviso è uno dei migliori pezzi del gruppo svedese, anche se è uno dei più recenti, essendo dall’ultimo omonimo album. E’ il giusto concentrato di ritmiche trascinanti e melodie vincenti e dal vivo è uno dei pezzi che ha una marcia in più. “Get in The Ring” è un altro capitolo targato 2022. Con “Put Your Back Into the Oar” cambia la scenografia e sullo sfondo appare una enorme nave vichinga pronta a salpare per nuove conquiste. A un certo punto appare sul palco anche il malvagio dio Loki mentre “The Way Of Vikings” intona un ideale grido di battaglia per i guerrieri nordici. Il concerto fila via fino al pezzo finale, “Raise Your Horns”, un titolo che non può lasciare indifferente ogni persona che si definisca fan di questo genere.