Mi sembra ieri, ma sono trascorsi diciotto anni dall’esordio di questi Alter Bridge, che troppo frettolosamente in troppi avevano solo classificato come una nuova versione dei Creed e che invece in breve tempo si sono trasformati in una delle band più interessanti del panorama metal del terzo millennio.

Merito soprattutto del cantante (e chitarrista) Myles Kennedy, che molti hanno imparato a conoscere come frontman dei The Conspirators, la band di Slash formata quando era ed è in pausa dai Guns N’Roses; e di Mark Tremonti, (ex Creed appunto e solista), uno dei chitarristi più talentuosi degli ultimi tre decenni.

Per questo settimo album di studio, a cui si aggiungono ben quattro live, la formula è rimasta intatta: riff taglienti su accordature basse, cantati altissimi e sempre dominanti, una ritmica cadenzata che avanza senza sosta, il tutto sostenuto da un gusto melodico di primo ordine.

Alter Bridge: la più grande alternative metal rock band degli ultimi venti anni?

Forse si è perso l’effetto novità che aveva caratterizzato i primi lavori, ma gli Alter Bridge non deludono perché sanno scrivere i brani. Ascoltare infatti ‘This Is War’, ‘Dead Among the Living’ (che mi ha riportato ai Mayfield Four, la prima band che ha consegnato una certa notorietà al cantante) e ‘Sin After Sin’ non è mai routine, anche se le tracce che mi hanno colpito di più sono ‘Stay’ (cantata da Mark Tremonti) e l’epica ballata ‘Fable Of The Silent Son’, che conferma come Myles Kennedy oggi sia il più grande talento vocale dell’intero panorama hard rock. Ma non c’è un solo brano superfluo, da ‘Season Of Promise’, con un refrain irresistibile alla title track, un campionario di idee e di come si debba scrivere heavy rock classico e moderno.

Se oggi esiste una metal rock band che interpreti il concetto di mainstream, senza esserlo, meglio degli Alter Bridge, io non la conosco.