Recensire il nuovo album dei Cult è un onore, ma anche l’occasione per cospargermi il capo di cenere dato che sono arrivato tardi a questa immensa band.
Negli anni ’80, quando esplosero e toccarono i vertici più alti del loro successo, io li sfiorai senza approfondirli.
Erano anni in cui ero impegnato a cercare di stare attento alle novità (prevalentemente del mondo hard’n’heavy), ma con un’incredibile urgenza verso la scoperta delle due decadi passate.
Questo ritardo ha però avuto anche il suo lato positivo, dato che, quando ho dedicato loro il tempo necessario, avevo ormai allargato le mie conoscenze musicali, potendone capire l’incredibile mix tra new wave/post punk/goth (da cui provenivano con i Southern Death Cult prima e con i Death Cult dopo) e l’hard rock a sfumatura psych blues.
Oggi posso dire che si tratta di una band seminale che ha saputo mantenere una qualità eccellente lungo tutta la sua discografia.
Negli ultimi 10 anni hanno pubblicato solo due album, “Choice of weapon” (2012) e “Hidden city” (2016), entrambi bellissimi, soprattutto il secondo, per cui mi sono avvicinato al nuovo “Under the midnight sun” con molte aspettative che non sono state assolutamente disattese.
Si tratta di un album magnifico, composto da 8 brani in cui sciorinano tutte le caratteristiche del loro sound attuale e passato.
Ian Astbury e Billy Duffy, naturalmente, sono i mattatori e compongono la totalità dei brani (con l’aiuto di Tom Dalgety).
Il primo caratterizza l’album con la sua voce calda e sciamanica, retaggio della sua esperienza di vita in Canada dove venne a contatto con la cultura dei nativi americani che tanto lo ha ispirato e del grande amore per Jim Morrison (ricordo che Ian è il cantante delle reunion dei Doors), anch’egli rapito in qualche modo dal mondo pellerossa; devo aggiungere, che già dal precedente album, alle influenze di cui sopra, si aggiunge quella sempre più marcata del mitico Johnny Cash, soprattutto nei brani maggiormente rilassati, con una spruzzata di David Bowie, uno dei suoi primi grandi amori.
Duffy, d’atro canto, cesella parti di chitarra sempre all’altezza, sia quando deve esprimersi in modalità più hard sia quando blues e psichedelia vanno a impreziosire di suoni meravigliosi le composizioni.
L’album si apre con un’accoppiata di brani, “Mirror” e “A cut inside”, hardeggiannti e adatti a scaldare l’ascoltatore.
Con “Vendetta X” i toni si fanno più profondi e allo stesso tempo liquidi, con Billy Duffy che ci omaggia un assolo da urlo.
La vena alla Cash emerge in “Give me mercy”, meravigliosa nella sua drammaticità.
“Outer heaven” prosegue sulle tracce del brano precedente, arricchendosi anche di un sottofondo orchestrale di gran classe.
La magia prosegue con una ballata, “Knife through butterfly heart”, intima e affascinante, in cui Ian si esprime da par suo e l’assolo blueseggiante di Billy è arte pura.
La palma di brano più psichedelico spetta a “Impermanence”, dove oltre alla classe dei due leader emerge la qualità della sezione ritmica, in particolare col basso di Charlie Jones.
L’onore di chiudere spetta alla title track, un brano splendido, profondo, crepuscolare come il suo titolo, accompagnato da una base sinfonica che realmente ci trasporta sotto il sole di mezzanotte.
Sarò arrivato tardi, ma ho recuperato alla grande.
The band:
Ian Astbury – Vocals and percussion
Billy Duffy – Electric and acoustic guitars
Charlie Jones – Bass
Ian Matthews – Drums and percussion
Damon Fox – Piano and Fender Rhodes
Tom Dalgety – Guitars and keyboards
Produced and mixed by Tom Dalgety