È il 1968 quando il ventiquattrenne Arthur Brown irrompe prepotentemente nel mondo del rock con il suo corse paint (che tanto influenzerà Alice Cooper, Kiss e molti altri tra cui pure i nostri Osanna), con i suoi spettacoli pirotecnici, con il clamoroso singolo “Fire” e con l’album “The crazy world of Arthur Brown”.

Dopo questo esordio la sua carriera non avrà più exploit commerciali rilevanti, ma il livello qualitativo della sua espressione artistica rimarrà molto elevato, in particolare modo con i Kingdom Come, rendendolo un’icona cult.

Oggi, 2022, esce “Long long road” nuovo album di questo giovanotto ottuagenario e vi assicuro che la mia definizione non è un ossimoro, né una battuta, bensì pura realtà… chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo nel 2017 a Erba (CO) sa cosa intendo.

Siamo su livelli qualitativi eccelsi, dove alle doti incredibili della sua voce si aggiunge il talento di Rik Patten, capace di esprimersi alla grande con vari strumenti e che aveva già collaborato con Arthur Brown sull’album “The magic hat” del 2012.

Arthur Brown, detto “The God of Hellfire” (Il Dio del Fuoco Infernale), è in attività dal 1966.

L’album inizia con “Gas tanks”, un hard rock a tinte garage dove fa capolino un impertinente stacco di flauto.

La breve “Coffin confession”  ci regala un momento arpeggiato su cui si erge un cantato declamatorio.

“Going down” ci riporta su splendidi territori hard rock in cui spiccano gli interventi di sax e il tappeto di organo.

“Once I had illusions part 1” poggia su una chitarra acustica caldissima e ostinata su cui Arthur può esprimersi al massimo del suo istrionismo.

“I like games” parte da dove è terminato il brano precedente, per poi elettrizzarsi facendosi sempre accompagnare da un’armonica demoniaca.

“Shining brightness” e “The blues and messing round” sono due brani blues: il primo ad alto grado psichedelico e con una voce che sembra uscita direttamente dall’inferno; il secondo, più classico, ma con un’interpretazione vocale dalla temperatura elevata.

La title track è una ballata a tinte fosche e per niente banale.

Il finale è affidato a “Once I had illusions part 2”, più elettrica della part 1 e dove l’anima psych del nostro eroe ci porta dritti in altre dimensioni.

Insomma, tanti ingredienti per deliziarci il palato, in attesa che il ragazzo prepari qualcos’altro di prelibato.

Vocals – Arthur Brown

Piano, organ, bass, drums, guitars, sax, harmonica, synth, flute – Rik Patten

Words and music – Arthur Brown and Rik Patten

Produced by Arthur Brown and Rik Patten