Scrivere di Joe Bonamassa e delle sue uscite, che siano album di inediti, raccolte di cover o come in questo caso live, sta diventando non solo una piacevole abitudine, ma pure la necessità di rimarcare con forza la grandezza di questo musicista, probabilmente il più grande bluesman bianco in attività, chitarrista e songwriter straordinario, produttore ed instancabile scopritore di talenti.

Nel suo pedigree concertistico mancava solo la possibilità di calcare il palco dell’Hollywood Bowl di Los Angeles, leggendario teatro in cui l’atmosfera da luogo di culto e la presenza di un’orchestra composta da quaranta elementi hanno trasformato la prima di Bonamassa in un evento imperdibile.

Gli arrangiamenti orchestrali affidati a nomi del calibro di David Campbell, Trevor Rabin e Jeff Bova, la bellezza dei brani proposti con in testa l’epico incedere della zeppeliniana “Courtain Call” (per chi scrive, uno dei brani più belli scritti da Bonamassa) o della splendida “No Good Place For The Lonely”, che con il supporto dell’orchestra offre otto minuti abbondanti di brividi, uniti allo smisurato talento di chi si trova sul paco, fanno sì che  questo live si trasformi in un monumento alla musica a 360°.

Il mattatore della serata è ovviamente il chitarrista e cantante statunitense che brucia assoli uno dietro l’altro, flirtando con l’orchestra e rendendo questi lunghi dieci brani più intro qualcosa di difficilmente ripetibile.

Non mancano le cover, tra cui vanno citate “If Heartaches Were Nickels”, brano capolavoro scritto da Warren Haynes, e “Twenty-Four Hour Blues di Bobby Bland con uno degli assoli più belli di tutto il live.

Con questa opera Bonamassa si è spinto oltre per impatto emotivo e maestosità regalando probabilmente il live più bello della sua lunga carriera. Imperdibile.