Piove. E tanto. Basta togliere l’ombrello per tre secondi e ti ritrovi bagnato fradicio. La gente per strada si ripara dove può ma la pioggia scroscia in modo incessante e il forte vento complica le cose. Del resto, non è una pioggia normale: è l’uragano Ida che sta passando per New York e che farà parecchi danni. Mi riparo in un ristorante venezuelano per mangiarmi un’arepa. Dalla vetrina scorgo un paio di metallari che, incuranti della pioggia, passeggiano felici e forse anche un po’ bevuti. Capisco di essere vicino al Gramercy Theater, il posto dove suoneranno questa sera i Soulfly. Uragano a parte, è una giornata speciale: quello dei Soulfly è uno dei primi concerti del Gramercy, che ha riaperto da tre giorni dopo essere stato chiuso per oltre un anno a seguito della pandemia di COVID. Non è un concerto come gli altri e si sente: il locale non è pienissimo ma si avverte un’euforia speciale fra la gente, che riassapora il piacere si stare insieme ad ascoltare musica dopo interminabili mesi di quarantene, tamponi e social distancing. E il distanziamento non c’è proprio davanti al palco del Gramercy: la gente si accalca (molti senza mascherina), urla e poga. Solo lo stage diving non viene praticato. 

Il tour dei Soulfly è iniziato il 20 agosto negli Stati Uniti e con una grossa novità: la fuoriuscita del chirarrista Marc Rizzo, dopo 18 anni di onorato servizio, e l’ingresso temporaneo dell’ex Fear Factory, Dino Cazares. Una vera garanzia che ha dimostrato di essersi subito amalgamato con il resto della band, cioè il bassista Mike Leon e il batterista Zyon Cavalera, figlio di Max. Si comincia duro con “Eye 4 and Eye”, “No Hope” e “Prophecy”, ovvero alcuni classici dei primi Soufly. Alla gente non par vero di poter pogare come in tempi pre-covid e il sottopalco diventa subito terreno di battaglia. Max Cavalera appare un po’ appesantito, vuoi l’età, vuoi il prolungato periodo di inattività, ma è il solito agitatore di folle, sempre pronto a incitare il pubblico con i suoi riff fra il death, l’hardcore e il nu metal, che si intersecano con ritmiche tribali. Al suo fianco Dino Cazares non fa rimpiangere Marc Rizzo: le chitarre sono sferzanti, anche se non hanno il sound tecnologico dei Fear Factory, e l’amicizia di lunga data con Max va a tutto vantaggio dell’affiatamento sul palco. Non mancano i rimandi ai Sepultura: “Refuse” e “Arise” colpiscono come un pugno in faccia e la gente non sta certo a pettinare le bambole, lanciandosi in una vorticosa danza tribale. C’è però un problema. A mano a mano che passa il tempo, il pavimento, complice la birra e il sudore, diventa un’enorme pista di pattinaggio dove, uno dopo l’altro, i pogatori scivolano come birilli uno sopra l’altro. Basta pogo, quindi? Neanche per sogno! Chi cade, si rialza e torna a pogare, mentre i Soulfly lanciano attacchi sonori con “Dead Behind the eyes”,“Unleash” e “Filth Upon Filth”. Il sottopalco è ormai diventato una bolgia, tipo le zuffe fra Romani e Galli dei fumetti di Asterix. Considerato che  siamo ancora in tempi di social distancing, ritengo che tutto ciò sia troppo e abbandono il campo di battaglia per rintuzzarmi (non senza vergogna…) in un angolo molto più calmo. Non faccio in tempo a scegliere la mia nuova posizione che è tempo di spegnere le candeline: è il compleanno di Dino Cazares, che oggi compie 55 anni. Max, da buon amico, gli canta tanti auguri, emulato dai fan. Forse per fargli un regalo, i Soulfly eseguono “Replica”, il singolo tratto da “Demanufacture” che ha fatto la storia del metal anni Novanta. E questa è stata la parte più debole del concerto: il cantato pulito di Max non è certo quello di Burton Bell e la sezione ritmica non è chirurgica come quella dei Fear Factory. Il risultato è un pezzo un po’ buttato di lì, giusto per rendere omaggio a Dino, privo della carica devastante della versione originale. 

Si chiude con l’ormai classica “Jumpthefuckup” poi tutti a casa. Fuori continua a piovere dannatamente forte, la metro è chiusa e taxi sono tutti occupati. Sarà un problema tornare a casa ma chi se ne importa: i Soulfly sono tornati sul palco e, nonostante siano stati più di un anno a casa causa Covid, continuano a spaccare.