Ennesima gemma proveniente da quel polmone inesauribile che è il rock scandinavo.
Qui siamo a Goteborg, in Svezia, città che dà vita ai Khadavra.
Nel 2014 esordiscono con il primo album autoprodotto intitolato “A True Image Of The Infinite Mind”.
Nel 2019 è la volta del secondo “Hypnagogia”, ancora autoprodotto, cui fa seguito nel 2020 la stampa sotto l’egida della Black Widow Records.
L’opera riscuote ottimi consensi grazie al suo fascinoso progressive, contaminato da psichedelia, space e dark.
Sono talmente variegate le influenze che il risultato finale risulta essere molto personale; ad ogni modo troviamo tracce di Pink Floyd, Hawkwind, King Crimson, Monster Magnet, Tool, Black Sabbath,… dei conterranei Anglagard e Anekdoten oltre che dei norvegesi Motorpsycho, senza contare qualche spruzzata alla Sigur Ros.
Il terzo lavoro “Hologram” è ancora soggetto ad autoproduzione nel 2021, per poi, nel 2024, vedere la luce sempre sotto il segno della label genovese.
Rispetto al precedente, siamo di fronte a un’opera molto più cerebrale, con meno momenti vicini a certa wave.
Inizio col botto, infatti, dopo la breve intro “Stundom”, partono i nove minuti di “Shapeshifter” in cui un’apertura chitarristica acida e furiosa fa da apripista a momenti dilatati e spaziali, proseguendo con svariati cambi di tempo, voltaggio e atmosfera nei quali emerge l’amalgama esecutivo della band.
Sitar, flauto e suoni orientaleggianti sono protagonisti di “Lucid parasitosis”, intervallati da momenti vocali declamatori, in un contesto ad alto contenuto psichedelico.
“Possession” è una suite di sedici minuti che parte ancora su coordinate esotiche in crescendo verso momenti dove chitarra e synth furoreggiano, alternandosi a tastiere oniriche e svolazzi flautistici, sostenuti da ritmiche fantasiose, prova che il progressive appartiene al loro dna, per un brano totalmente libero di fluire al di fuori degli schemi.
Gli elementi wave, molto evidenti nell’album precedente, fanno capolino in “Zoning out” che globalmente suona più classic rock, anche se con gran dosaggio lisergico.
La breve e arpeggiata “10102020” predispone a un’altra suite, “Katla”, in cui la band viaggia libera sulla sua tavolozza dei colori, per un dipinto musicale variegato e al contempo fascinoso, in pieno agio sia che si debba pigiare sull’acceleratore sia che sia necessario rallentare, confermando il mio “cerebrale” di qualche riga sopra.
La necessità di quiete viene appagata con il sinfonismo di “Anhedonia”.
“Vemod” tiene fede al suo significato, malinconia, palesando un’attitudine autunnale, confermata dal flauto, che anticipa la title track che ha il compito di chiudere l’opera con i suoi quasi dieci minuti, dapprima con parti vocali enfatiche che lasciano via via campo libero al caleidoscopio sonoro che li contraddistingue.
È grazie a band come i Khadavra se oggi possiamo usare ancora il termine progressive nella sua reale accezione; complimenti quindi alla Black Widow Records per averli fatti entrare nella loro scuderia.
Band:
Alexander Eriksson – batteria, voce, percussioni e glockenspiel
Sebastian Eriksson – chitarra, voce, sitar, mellotron e synth
Jón Klintö – basso, voce e chitarra acustica
Marcus Holmström – tastiere, mellotron e moog-synth
Guests:
Liv Fridén – flauto sulle tracks 3, 4, 9 e 10
Ole Mathis Haglund – chitarra ritmica sulle tracks 3, 4 e 5
Nils Erichson – trastiere su track 4
Ola Lindvquist – flauto su track 7