Abbiamo avuto il piacere di una visita nel nostro paese di questo signore, ormai vicino ai settant’anni nel 2018, in occasione del festival “Dal Mississippi al Po”. Oggi Robert Finley, malgrado la sua non più verde età, arriva al quarto album intitolato “Black Bayou”, aiutato dal fido produttore Dan Auerbach e da un buon numero di musicisti e ospiti.

Finley offre una lezione di blues difficilmente dimenticabile, grazie a una varietà di atmosfere che costituisce la maggiore virtù di questa raccolta di brani.

Tradizionale, assolutamente pregna dell’umido stagnare di acque paludose, aiutata da una produzione volutamente sporca, lasciva, commovente, ribelle, la musica contenuta in “Black Bayou” passa agevolmente da soluzioni gospel al blues classico, mentre lo scorrere lento del fiume scandisce tempo e ruvide scorie di chitarre elettrizzate e schiave di un’interpretazione del nostro talmente intensa da non fare prigionieri, in particolare nelle ballad “Nobody Wants To Be Lonely” e “Lucky Day”.

Come già scritto, Finley si avvale della collaborazione di un buon numero di musicisti e di due coriste, Christy Johnson e LaQuindrelyn McMahon, rispettivamente figlia e nipote di Robert, per una raccolta di brani che vede tra i suoi picchi nell’opener “Livin’ Out A Suitcase, nello swamp blues della successiva “Sneakin’ Around” e nello splendido mid tempo di “Gospel Blues”, brano che dal titolo è tutto un programma.

Artista di livello superiore, Robert Finley sembra davvero provenire da un altro tempo per ergersi a custode della tradizione blues del sud degli States. Consigliato.