Sin dalla copertina, con quei colori sfumati, e dal titolo questo album profuma di anni ’90. Già quel decennio tanto bistrattato dalle mummie nostalgiche, ma che ha invece inondando il mondo di grande musica rock.

Il quartetto veronese è guidato dal cantante e chitarrista ritmico Poly, sorta di conduttore e riferimento per le dinamiche del gruppo. La sua voce roca e potente è uno dei punti di riferimento degli otto brani, che sprigionano carica ed energia, portando in dote echi di Soundgarden, Alice In Chains e Screaming Trees, ma nell’ombra si trovano schegge di Deftones e persino primi Tool, con puntelli di rock alternativo. A dar forza al disco, c’è la produzione di Fabio Serra, sorta di re Mida locale, perché quello che tocca, che sia metal, prog o hard, si tramuta in un corpo che suona meravigliosamente.

Otto brani, otto sigilli, perché da “My Own Private Intersection” a “Not Just Yet”, che giocano a scacchi tra grunge e post metal, fino alla conclusiva “Missing Ring”, non c’è un solo passaggio a vuoto. “Red Velvet” è una sorta di inno, con un ritornello bruciante, il tambureggiare di “Rikochet” si spezza con un riff tagliente che rievoca certo grunge psichedelico alla Dinosaur Jr., con “Unknown Consequences” ammorbidisce i toni, ma non scende mai al livello di ballata, mantenendo alta la tensione grazie ad un refrain evocativo. L’inizio arpeggiato di “Feel Life” che muta in un coro inquieto, dimostra come i Rikochet siano anche più vicini a noi, visto che appaiono rimembranze di Black Stone Cherry e Jet, mentre “Empirical Break” e la citata “Missing Ring” ti si incollano addosso, con tutta la loro umidità malinconica in grunge style.

I Rikochet con questo debutto hanno il grande merito di riportare l’attenzione sugli anni ’90, senza copiare, ma dando una chiave di lettura personale, che porta inevitabilmente una piacevole sensazione di nostalgia, ma che svela una forte personalità.

Gran bel disco.

Ed ora aspettiamo le mosse future!