Il talento musicale di Neal Morse si riflette nella sua poliedrica natura di strumentista e capacità di concepire la musica a 360°, non soltanto in funzione del proprio ruolo in band, ma rispetto al beneficio generale del gruppo e della complessità del lavoro che si crea. Messa in saccoccia l’esperienza accumulata durante la militanza nei mai dimenticati Spock’s Beard, Neal Morse cambia pagina e inizia un percorso musicale che lo porterà a sviluppare un linguaggio personale che non fa dimenticare gli antichi fasti, caratteristica questa che si evidenzia chiaramente anche in questa nuova release che andiamo a visionare assieme.

Complessità e fede possono essere la sintesi di questo “The Restoration – Joseph: Part Two”, il secondo atto di un concept album incentrato sulla figura biblica di San Giuseppe, preceduto dal convincente “The Dreamer – Joseph: Part One”: dobbiamo pertanto toglierci il “semplice” mantello di ascoltatori e cercare di comprendere il peso di questo lavoro senza soffermarsi su quelle che potrebbero apparire come debolezze. Questo disco può de facto rischiare di apparire melenso ed intriso di “speranza coreutica”, ma è altrettanto vero che si tratta di un onesto ritratto della filosofia e della mente di Morse, che si mostra per com’è.

Si nota innanzitutto una ricerca timbrica oculatissima e di gran pregio, condita poi da una maestria esecutiva eccelsa. Apprezzo oltretutto il fatto che l’album non sia eccessivamente patinato e contraddistinto dagli eccessi di editing a cui, purtroppo, siamo stati abituati negli ultimi venti anni.

Si viaggia musicalmente tra elementi di musica folk, country, struggenti ballad e grandi espressioni di virtuosismo tra poliritmi, figure irregolari e intricate trame strumentali tra ruggenti tastiere e cremosi suoni di chitarra. I salti tra i singoli “momenti” stilistici inoltre sono pensati con una gradualità disarmante, pensati come un principio attivo che agisce step by step e ti porta in una dimensione onirica ad occhi aperti, dove la calda voce ti racconta una storia avvincente.

L’unico aspetto che può far pensare è quel pizzico di “prodotto coreutico” che l’album contiene, che potrebbe in certi momenti fare pensare a un prodotto commissionato da un’organizzazione religiosa piuttosto che dal frutto genuino di un gruppo di artisti così talentuoso. Nulla che però infici rispetto alla pregevole fattura di un disco che si inserisce certamente fra le produzioni prog più interessanti degli ultimi anni.

Voto 7,5/10