Ottava release per il combo irlandese, una delle realtà in area thrash/speed metal tra le più solide della nuova ondata anche se, è giusto ricordare che i 5 musicisti sono in giro da ormai vent’anni.
Da sempre fautori di un thrash metal senza troppi compromessi debitore, per l’attitudine scanzonata e che non vuole mai prendersi troppo sul serio di band come Tankard e Anthrax, in questo episodio discografico in un certo senso, “smorzano” almeno in parte i toni più thrash/hardcore della loro proposta musicale per portare maggiormente in risalto la vena più heavy classica di cui sono comunque da sempre debitori.
Il viaggio sui solchi del nuovo platter della band comincia con “Prologue: Under The Piramid”, intro che anticipa “Egyptron” dove in mezzo a una ritmica tipicamente thrash si interfacciano melodie chitarristiche più tipicamente di stampo heavy classico e anche l’incedere della metrica del testo soprattutto nel ritornello strizza molto più l’occhio ai Judas Priest piuttosto che alla bay area del thrash metal. Molto interessante l’utilizzo di scale arabe nella tessitura delle parti di chitarra.
Avanti poi con “Living Dead In Beverly Hills” che rimarca l’amore per i cinque per una certa atmosfera cinematografica degli anni ’80 (ricordiamo con affetto “Miami Supercops” tributo ai nostri Bud Spencer e Terence Hill nel precedente lavoro “Sea Savage” del 2020) e qui siamo sul classico sound senza troppi fronzoli trademark della band
La quarta traccia, “Rusted Gold”, ha uno stampo molto NWOBHM pur mantenendo di base una metrica e un bpm sempre molto spinto su lidi prettamente thrash.
“Materialize” ricorda un po’ il riffing ipnotico dei Metallica che furono il tutto condito da una prova magistrale (se il termine si può usare in ambito thrash) del vocalist Philly Byrne con picchi che anche il caro Bobby “Blitz” Ellsworth sicuramente apprezzerebbe.
Torniamo a un sound “no compromise” con “Mask of Anarchy” che suona Anthrax fino al midollo con una prova sempre convincente seppur derivativa della coppia d’asce Dixon/Roche. Fa eco negli intenti “Don’t Get Your Hair Cut” veloce serrata e concisa.
Abbassiamo decisamente i bpm con “Dreamstealer” e paghiamo tributo all’heavy classico peccando forse in un minutaggio troppo thrashy, troppo basso per poter esprimere bene un concetto musicale più “classic” visto che il tutto si risolve 2 minuti e mezzo scarsi di pezzo.
Alziamo i giri motore con il singolo “Speed Funeral” dannatamente azzeccato con un riffing che martella e ti si stampa in testa al primo ascolto. Segue “Secular Saw” che suona sicuramente meno tirata e con un incedere un po’ più rimbalzato tra uptempo e midtempo più anni 80.
Chiude il platter “Bats in your hair” e qui sta tutta la summa dell’amore sconfinato per l’NWOBHM e per l’heavy classico che i cinque hanno dimostrato di avere (con in aggiunta anche qualche acuto alla Udo Dirkschneider). Il gruppo si dimostra sempre originale nelle scelte fuori schema inserendo pure un assolo di sax che non stona nel computo totale del pezzo.
In definitiva un disco sicuramente derivativo che nulla aggiunge al panorama, ma che cresce con gli ascolti e non scontenterà i fan del gruppo risultando fresco e di assoluta qualità.