Nei primi anni Novanta molta gente si chiedeva come i gruppi estremi avrebbero potuto continuare a suonare e cantare per anni in quel modo. Se lo chiedeva in un talk show pure Jim Carrey, di cui parleremo più avanti. Il death, il grind erano nati da pochi anni, era difficile immaginarsi come si sarebbero potuti evolvere e i musicisti che ne facevano parte erano tutti molto giovani. Nessuno poteva dare lezioni di vita. A distanza di trent’anni, Napalm Death e Brujeria sarebbero in grado di dare una risposta a quella gente. Due carriere pluridecennali, due percorsi musicali contraddistinti da passione e coerenza: in buona sostanza, due esempi di come death e grind non fossero generi passeggeri ma avessero una loro dignità artistica in grado di durare negli anni. E’ una grande conquista e forse stasera ci celebra un po’ anche questo.

I primi a salire sul palco della Music Hall of Williamsburg, a Brooklyn, sono i texani Frozen Soul. Dire che siano debitori dei Bolt Thrower è poco. Il gruppo riproduce in tutto e per tutto le sonorità della band inglese, senza aggiungere granché di personale. Hanno addirittura una bassista dal look ispirato a Jo Bench dei Bolt Thower. I pezzi sono godibili ma servirà mettere un po’ di farina del proprio sacco per lasciare il segno. Chi invece ha una forte impronta sono i messicani Brujeria. La loro è una storia davvero singolare. Nati trent’anni fa dall’unione di vari musicisti della scena estrema, i Brujeria aspettarono ben dieci anni prima di iniziare a esibirsi dal vivo. Del resto, tutti i componenti della band erano impegnati con i rispettivi gruppi di appartenenza e le loro identità rimasero nascoste per molto tempo dietro a volti coperti e foto pubblicate con il contagocce. Ricordo ancora le prime interviste in cui i malcapitati giornalisti venivano bendati e portati in un posto ignoto per fare l’intervista, così come si svolgerebbe un incontro con dei veri narcotrafficanti. Tutto falso naturalmente ma il gruppo è rimasto fedele alla propria immagine, che non manca di colpire ancora oggi. Della formazione originale rimangono Shane Embury dei Napalm Death al basso e Nick Barker, ex Cradle of Filth, alla batteria. Al centro del palco incombe l’inquietante cantante El Brujo. Stivali da ranchero, panza all’aria e machete alla mano, el Brujo sembra dannatamente fare sul serio. In “El Desmadre” dà il meglio della sua voce da orco, mentre i riff di chitarra risuonano come dei kalashnikov.  “Marcha de Odio” è la truce e martellante marcia tratta da Brujerizmo (2000): dal vivo non perde nulla della brutalità della versione registrata. Qua e là affiorano i pezzi con tematiche sociali, come “Revolucion” e “Division del Norte”, che però rivisitano la storia con la mentalità distorta da narcotrafficante. A un certo punto entra la Bruja, alter ego femminile del Brujo e presenza altrettanto inquietante. Vedere i Brujeria dal vivo è un po’ come guardare una puntata di Narcos: oltre al Brujo e consorte, c’è il Pinche Peach, una sorta di menestrello della mariuana che gira con una testa mozzata, e El Sangron, uno che potreste trovare a spacciare droga lungo l’avenida de la revolucion di Tijuana. L’unico problema, se vogliamo dirla tutta, è che la puntata è sempre la stessa. Rispetto alla prima volta che li vidi, poco o nulla è cambiato nel copione del concerto. Un po’ di novità non guasterebbe (oltre che un nuovo disco, che manca da diversi anni). Rimane il fatto che vedere i Brujeria dal vivo comunque merita. Il concerto si chiude con la “hit” “Matando Gueros” e la macarena in salsa mariuana.

Il tempo di togliere dal palco la bandiera messicana ed è la volta dei Napalm Death, che a New York sono praticamente ospiti fissi. Li abbiamo visti quattro volte in tre anni, contando anche l’anno e mezzo senza concerti causa COVID-19. Pazienza se non sempre sono arrivati da headliner: l’importante è suonare e questo è quello che conta per il gruppo di Birmingham. E si vede. Ad ogni concerto hanno sempre dato il meglio di sé stessi, senza mai dare l’impressione di “andare al risparmio”. Stasera non fanno eccezione. L’inizio è come sempre senza compromessi: “Silence is Deafening” e “Fuck the Factoid” squarciano la quiete temporanea della Music Hall e prendono a pugni il pubblico del locale, che risponde con altrettanta veemenza. “Contagion” scatena gli istinti più ferali (leggi pogo a livelli di guardia) cosi come “Lucid Fairytale”, che ci riporta ai gloriosi tempi di “From Enslavement to Obliterarion”.

Dallo stesso album viene suonata “Unchallenged Hate”, un vero manifesto del genere. Da allora i Napalm Death ne hanno fatto di strada, pur rimanendo nei canoni della musica estrema che hanno contribuito a fondare. “Narcissus” e “Throes of Joys in the Jaws of Defeatism” sono indubbiamente death metal ma con angolature diverse da quelle di trent’anni fa. Si torna poi ai grandi classici della band, come “Scum”, the Kill” e “Suffer the Childern”, suonati sempre con grande intensità. Barney Greenway non delude mai: corre, si agita, si dimena, butta fuori tutta la rabbia che ha dentro (che apparentemente è ancora tanta). Ricordate la gag di Jim Carrey di inizi anni Novanta? “Questo tizio un giorno vorrà andare più lento e fare dei duetti”. Trent’anni dopo possiamo dire che questo non è ancora successo. I pezzi dei Napalm non sono ancora scalfiti dall’età che avanza e Barney sembra ancora lontano dal voler fare un duetto con Lady Gaga. Neppure i suoi compagni di viaggio, Shane Embury al basso e Danny Herrera alla batteria, sembrano perdere il passo. E poi c’è il simpatico chitarrista John Cooke (“chiamami Giovanni Cuoco”, mi dirà alla fine del concerto, ricordando i tempi in cui era assieme a una ragazza italiana). Meriterebbe di avere un ruolo ufficiale nel gruppo, dopo anni di onorato servizio al servizio del gruppo, prima come autista, poi come responsabile del merchandising e poi ancora come chitarrista. C’è spazio anche per le cover, come “Don’t Need It” dei Bad Brains e “Nazi Punks Fuck off” dei Dead Kennedys, immancabile fiore all’occhiello nel repertorio della band di Birmingham. Chiude “Siege of Power” per un’ora e un quarto di musica tiratissima, implacabile, brutale.

Una cosa è certa: i Napalm Death non avranno mai pietà delle nostre orecchie.