Immaginate di trovarvi in una grande stanza d’albergo. A un certo punto si presentano, al completo, Mötley Crüe, Poison, Guns n’Roses e compagnia rockeggiante. Ci sono proprio tutti, non manca nessuno. Ci sono pure tutti i principali produttori, discografici, fotografi, groupies degli Anni Ottanta. E sono tutti lì per voi. Voi dovete proporre degli argomenti di discussione e poi restare in silenzio. Ci penseranno i vostri illustri ospiti a riempire la serata di racconti e aneddoti.

Questo libro è un po’ cosi. Gli autori quasi mai intervengono nelle oltre 400 pagine di questa opera. Non ci provano nemmeno a fare una storia ragionata del glam anni Ottanta ma fanno qualcosa di meglio: fanno parlare i suoi protagonisti. “Nothing but a good time”, edito del 2021, è il riassunto di oltre 200 interviste pazientemente raccolte da Tom Beaujour, co-fondatore della rivista Revolver, e Richard Bienstock, giornalista con articoli apparsi su New York Times, Rolling Stone e Billboard. È un intreccio di storie fatte di sogni, sudore, successi, eccessi, tragedie e colpi di scena. Come nel capitolo che ci fa entrare nei provini della band di Ozzy Osbourne dopo la tragica morte di Randy Rhoads. Pensato di veder entrare Jake E. Lee (che alla fine ottenne il posto) e invece vi passa davanti George Lynch dei Dokken. Tutti erano convinti che sarebbe stato scelto lui. A partire dal diretto interessato, che già sentiva nelle proprie tasche un bel po’ di dollari in più e la possibilità di dare a moglie e due figli un’esistenza più dignitosa. E ne era convinto pure il cantante dei Dokken, Don Dokken, che già aveva chiamato Warren DeMartini (poi entrato nei Ratt) per sostituire Lynch. Il seguito è tutto da leggere in un fiato.

Ma ciò che lega tutti i personaggi di questa saga è la determinazione con la quale hanno cercato di fare del rock la propria ragione di vita. Come si dice nell’introduzione del libro: “nessuno dei personaggi di questo libro entrò per caso nel mondo della musica”. 

Non sono però solo le persone a popolare “Nothing But a Good Time”. In primo piano c’è anche la Los Angeles degli anni d’oro, il posto dove andare se volevi sfondare, la giungla che poteva portarti alla fama o alla rovina.  Gli autori ci fanno ripercorrere tutti i luoghi che hanno visto crescere, suonare, sudare i protagonisti di questo fantastico periodo: il Troubadour, il Whiskey a go go, il Gazzarri’s, il Rainbow, il Roxy…scorrere i capitoli è come camminare lungo il Sunset Strip di Los Angeles e fermarsi in ognuno di questi posti per farsi una birra e ascoltare buona musica. E sembra quasi di vederli, Taime Downe (cantante dei Faster Pussycat) e Riki Rachtman (poi presentatore del mitico Headbangers Ball), che un giorno decidono di rilevare una vecchia discoteca degli anni Settanta per farne una discoteca rock nonché un luogo di dove la perdizione era la parola d’ordine. E’ l’inizio del Cathouse, lo storico locale di Hollywood che vide i Guns n’Roses suonare un concerto unplugged molto prima che l’unplugged andasse di moda. Solo trentacinque anni fa al Cathouse avreste visto uno sbarbato Axl Rose ballare da solo sul dancefloor o un giovane Slash sboccare nei cessi del locale.

Questo libro è fatto di questa e di altre storie come questa e spesso si immerge nella cultura di quegli anni, fatta di film, auto, locali e dischi. Un capitolo intero è dedicato a “The Decline of Western Civilizations Part II: the Metal Years”, uno dei momenti più alti della cultura metallara di quegli anni. Come nelle rimpatriate di vecchi amici, Ozzy ricorda di essere stato completamente fuso (ma va?) durante la registrazione della sua intervista nella cucina di casa sua. E Taime Downe e Stevie Rachelle dei Tuff commentano la celebre scena di Chris Holmes degli W.A.S.P. completamente ubriaco nella piscina di casa sua con l’impassibile madre al suo fianco.

“Nothing but a good time” non è però un libro ambientato solo a Los Angeles: gli autori non trascurano la East Coast per raccontare ciò che succedeva da quelle parti mentre sul Sunset Boulevard impazzava la festa. Bon Jovi, Skid Row, Cinderella furono anch’essi il simbolo di un’epoca, anche se non vivevano nella west coast e non imperversavano nei bar del Sunset Strip. Un capitolo del libro si spinge persino nella lugubre Mosca dell’ex Unione Sovietica per raccontare i retroscena del mitico Moscow Music Peace Festival del 1988. Un concerto che ha fatto la storia della musica ma i cui protagonisti erano del tutto inadatti alle finalità dell’evento. Ce li vedete Ozzy Osbourne, Skid Row, Mötley Crüe suonare per promuovere messaggi contro la droga e l’alcolismo? È il controsenso che evidenziano i due autori. Ma è forse Sharon Osbourne a usare l’immagine più lucida: “Era come stare su un aereo con duecento gremlin: tutti bevevano, tutti si facevano di coca”.

Come tutte le feste, anche gli Anni Ottanta finirono. I Nirvana ne decretarono la morte ufficiale il 24 settembre 1991 con l’uscita di “Nevermind”. Da allora, nulla fu più come prima. Molti gruppi sparirono, alcuni cambiarono per non morire, pochissimi rimasero fedeli a sé stessi. Il Sunset Strip si svuotò, lasciando che la piovosa Seattle diventasse la nuova capitale del rock. Ma lo spirito degli anni Ottanta non è mai morto e la gente non li ha dimenticati. Come ve li spieghereste altrimenti gli stadi americani riempiti la scorsa estate dallo Stadium tour di Mötley Crüe, Def Leppard e Poison? Ma forse non c’è nulla da meravigliarsi: in fondo, non erano altro che ragazzi che volevano divertirsi.