Il grande ritorno del madman del rock!!
Si è aperta una discussione molto accesa sul web sul reale valore di questo nuovo album di Ozzy Osbourne. Zio Ozzy (ma sarebbe meglio nonno), da anni combatte contro demoni nella sua mente, dipendenze, un fisico a pezzi, pochi alti e tanti bassi, malattie e cure. La morte se l’è preso un paio di volte, per poi rispedirlo al mittente. Come lui stesso ha detto: è un miracolo che sia ancora vivo. Fa tenerezza, in fondo basterebbe farsi da parte, accettare il tempo che scorre, ma dentro di lui qualcosa continua a bruciare e la voglia di lasciare ancora il segno non si è mai spenta. E noi non siamo realmente nessuno per dirgli cosa fare, quindi accettiamo con piacere queste tredici tracce e cerchiamo solo di capirne di più.
Formalmente è un album bello, uno dei migliori da tanti anni a questa parte, personalmente azzardo da ‘Down To Earth’, quindi torniamo al 2001, per non dire “No More Tears” e scendiamo giù di altri dieci anni. Aiuta naturalmente il parterre di ospiti, non citando tutti: Jeff Beck, Eric Clapton, Robert Trujillo, Duff McKagan, Josh Homme, Chad Smith e Taylor Hawkins (RIP), per una delle ultime sue apparizioni in studio. Ma naturalmente la scena la ruba Tony Iommi, il blackman accanto ad Ozzy non può essere solo una nota a margine da citare. Ed infatti i due brani dove appare la chitarra del baffuto, ‘No Escape From Now’ e ‘Degradation Rules’ (splendida l’armonica a bocca) sono tra le cose migliori ascoltate in campo heavy negli ultimi anni, come dei Black Sabbath del terzo millennio. Non sono da meno la ballata orchestrale ‘My Darkness’ con Zakk Wylde, che regala il meglio con il groove terroso di ‘Parasite’, la title track con un Jeff Beck in gran spolvero, da copertina anche ‘Immortal’ con Mike McReady che gioca a fare i Pearl Jam in chiave dark e ‘One Of Those Days’ con un Clapton più cattivo del solito, anche grazie al supporto di un basso pesantissimo. Ma tutti i pezzi si ascoltano con piacere.
E fin qui tutto bene. Ora dovremmo discutere di un album fatto al computer, di particelle incollate, di Ozzy che non canta più e la sua voce è roba da clonazione informatica. Che la produzione del giovane (è del 1990!!) e già campione di incassi Andrew Watt, non capisci se è geniale o totalmente paraculo (forse entrambe le cose!), di una programmazione pubblicitaria pazzesca, dove nulla è stato lasciato al caso e dove persino i video non ufficiali dei brani, d’accordo chiamiamoli nel modo corretto, i video “Official Visualizer” sono piccole opere d’arte. Ma sinceramente a qualcuno importa tutto questo? Dobbiamo chiedere ad Ozzy di essere colui che salverà la sincerità del rock? Deve essere un settantaquattrenne in bilico tra vita e morte ad essere ruvido, incazzato a fare dischi privi di tecnologia? Quando ci sono ventenni che senza pro tools e cento software, non riescono a mettere insieme cinque accordi in successione?
Insomma conosciamo la bestia, da anni Ozzy è una sorta di entità, sul palco finge di cantare, in studio lo sorregge la magia della scienza informatica. Ma interessa veramente a qualcuno? Ozzy Osbourne è un rockstar che non si arrende alle intemperie del tempo, manipolato dalla moglie, forse dai figli, forse da manager ed avvocati, tuttavia se il risultato è un disco studiato al millesimo, forse persino finto, ma bello come ‘Patient Number 9’ io posso solo dirgli grazie.