Tornano gli anni Ottanta!! O forse non se ne sono mai andati!!!

Abbiamo aspettato tanto, troppo, ma alla fine è arrivato. Lo “Stadium Tour”, annunciato nel 2019 e rimandato per ben due volte nel 2020 e nel 2021 a causa del maledetto coronavirus, è diventato realtà, portandosi dietro il suo carrozzone di decibel e divertimento. E che bomba! Non si è parlato d’altro quest’estate negli States. Il tour ha infiammato gli stadi di mezzo Nord America, riportando sotto le luci della ribalta l’hard rock anni Ottanta, che da queste parti non è mai morto. Del resto, riunire in un solo evento Mötley Crüe, Def Leppard, Poison e Joan Jett è già di per sè un evento. Anche nel 2022. Pensate che stia esagerando? I dati parlano chiaro: una media di trentaseimila presenze a serata e una media d’incassi di quattro milioni di dollari a concerto non sono affatto male. Ma, statistiche a parte, è l’entusiasmo della gente, certamente alimentato dalla lunga attesa, il vero successo del tour. Ho visto signori di una certa età riesumare giubbotti di pelle e stivali borchiati e andare fuori di testa. Ho visto signore attempate rispolverare gonne corte e magliette attillate e cantare a squarciagola. Ho visto anche tanti giovani che negli Anni Ottanta non erano ancora nati eppure erano lì, davanti al palco, come se fossero appena usciti da qualche locale del Sunset Strip.

E quale posto migliore per assaporare questa atmosfera se non la rock city per eccellenza? Detroit ha ancora i suoi problemi: hai costantemente la sensazione che la città sia mezza vuota. In effetti, rispetto agli anni Sessanta più della metà dei suoi abitanti se n’è andata a causa delle crisi petrolifere degli anni Settante e del declino dell’industria automobilistica. Esci dal centro storico e vedi di file di villette disabitate e quartieri desolati. Spesso ti chiedi dove siano finiti gli abitanti. Tuttavia, il centro città si sta piano piano risollevando e il fine settimana si anima si anima di tanti giovani. Molti li vedi seduti attorno a una sorta di bancone mobile: ogni seggiola è collegata a dei pedali per cui la gente beve birra e nel contempo pedala, facendo muovere il bancone in giro per le strade della città. L’unico che non beve è quello che sta al manubrio. E non potrebbe essere altrimenti perché il tasso alcolico davvero alto ed è un miracolo che nessuno caschi per strada e venga investito da un’auto. Poco lontano da downtown c’è il Comerica Park, lo stadio in cui gioca la squadra locale di baseball e dove si tengono i grandi eventi della città. Detroit è nota per non avere un clima clemente durante l’anno ma oggi il sole è impietoso e la fila per entrare è lunga. Una volta entrato nello stadio, mi accoglie una ragazza sui trampoli che si presta a chiunque voglia fare una foto. Tutto intorno è un trionfo di stand gastronomici e venditori di merchandising dove stazionano lunghissime file di fan. Impossibile comprarsi una maglietta. Qua e là ci si imbatte in sosia di Vince Neil o in gente vestita in modo uguale a Bret Michaels. In bagno in contro un tizio che sembrava veramente Nikki Sixx dei Motely Crue e per poco non cedo alla tentazione di chiedergli un autografo. Oltre un certo punto si viene investiti da una pesante coltre di fumo: viene da un’area dove ci sono decine di stand che cuociono carne a volontà per gente che sembra presa da un raptus di bulimia. Mentre si consuma la grande abbuffata e scorrono fiumi di birra, salgono sul palco gli esordienti Classless Act, forti del loro debut album “Welcome to the show”, prodotto nientemeno che da Bob Rock e con ospiti illustri come Vince Neil dei Motley Crue e Justin Hawkins dei The Darkness. Fanno un convincente hard rock, trascinato dall’istrionico cantante Derek Day, e dal vivo rappresentano certamente un prelibato antipasto per questa serata hard rock. Da rivedere e seguire, magari da headliner perché venti minuti di esibizione sono davvero pochi. Subito dopo sale sul palco la coriacea Joan Jett, che con i suoi Blackhearts sciorina i suoi successi da stadio, come la celebre “I love rock and roll” o l’inno in puro stile Ramones “Bad Reputation” per chiudere con la pesante “Rock and Roll is here to stay”. Con i Poison sale decisamente l’adrenalina. Basta l’intro di “Detroit Rock city” dei Kiss seguito dalla trascinante “Look What the Cat Dragged In” per far esplodere il Comerica Park. I quattro alfieri dell’hair metal non hanno perso lo smalto dei vecchi tempi. Colpisce Brett Michaels che, nonostante abbia quasi toccato il tetto dei Sessant’anni, si muove come se ne avesse trenta di meno. CC de Ville suona meglio ora che quando era in preda alle droghe all’inizio dei Novanta. E chi se ne frega se i capelli sono tinti o posticci. I Poison rimangono una band da stadio: “Ride the Wind”, “Talk Dirty to Me”, “Your Mama Don’t Dance” divertono e fanno cantare senza bisogno di aggiungere nulla alle versioni originali. “Nothing but a Good Time” è un vero e proprio inno al divertimento. La ascolti dal vivo e ti rendi conto una volta di più che davvero rappresenta un’epoca.

Non a caso è anche il titolo di un recente libro, pubblicato negli USA, che parla della Los Angeles degli anni Ottanta, dei suoi eccessi e dei suoi protagonisti (ne parleremo in uno dei prossimi articoli).  C’è anche spazio per l’assolo di CC De Ville, che riproduce “Eruption” dei Van Halen, e un breve stacco di batteria di Rikki Rockett. Poi senti le prime note di “Every Rose Has Its Thorn” e non puoi non emozionarti. Pensi che, a distanza di oltre trent’anni, resta nella sua semplicità una canzone davvero bella, una di quelle che non senti più in radio. Ma al diavolo la nostalgia. E’ già tempo di accogliere sul palco i Def Leppard, co-headliner del tour assieme ai Mötley Crüe. Il gruppo di Sheffield ha un repertorio ben più vasto dei Poison e non ha paura di aprire con il singolo “Take what you want” tratto dal nuovo album “Diamond Star Halo” che – detto fra parentesi – è un gran bel disco! Sebbene il pezzo non sia ancora dei più conosciuti, rimanda ai migliori Def Leppard e impiega poco per portarsi dietro tutto lo stadio. Si prosegue poi con la classica “Animal” e la prima parte del concerto dei Def continuerà con un’alternanza di brani vecchi e nuovi. Cosi, accanto ad “Armageddon it” e “Loves Bites” si battono mani e piedi sui ritmi della nuova “Kick” e si cantano le bellissime melodie di “This Guitar”, fra il rock di Bryan Adams e il country rock più raffinato. Il momento melodico prosegue con l’acustica “Two Steps Behind” mentre i fuochi d’artificio sono riservati al gran finale con “Hysteria”, “Pour Some Sugar on Me”, “Rock of Ages” e “Photograph”. I Def Leppard hanno avuto momenti difficili nella loro carriera ma sono sempre riusciti a mantenersi bene o male sulla cresta dell’onda (ricordate il successo della loro raccolta “Vault” in piena tempesta grunge a metà anni Novanta?). Oggi hanno confermato di essere ancora un gruppo in grado di fare ottima musica e suonare rock da stadio. La via del tramonto è ancora lontana per loro. Sembrava fosse più vicina per i Mötley. Li avevamo lasciati sette anni fa, nel loro tour di addio, fra le lacrime di commozione, baci e abbracci.

Li ritroviamo “rinati” nel 2022 dopo un periodo non facile. Gli ultimi due anni sono stati devastanti per Vince Neil, stretto fra problemi di forma fisica ed esibizioni a dir poco imbarazzanti. C’è chi dice che il rinvio del tour del 2021 sia stato dovuto in parte anche alle sue condizioni fisiche. C’era dunque il fondato timore che questo tour si rivelasse un disastro per i Mötley. Cosi non è stato. Non chiedetemi come abbia fatto Vince Neil a rimettersi in sesto perché non ne ho idea. Esercizio fisico? Cura dimagrante? Voci di supporto dietro le quinte? Sta di fatto che i quattro losangeleni hanno dato il meglio di sé, come se il 1990 fosse finito ieri. “Wild Side” e “Shout At The Devil” fanno partire la macchina del tempo e pare subito chiaro che i Mötley Crüe non deluderanno le attese. “Live Wire” e “Looks That Kill” mantengono la loro originaria carica eversiva mentre “Too Fast For Love” rimanda agli acerbi esordi della band. Micidiale il medley di “Smokin’ in The Boys Room”, “White Punks on Dope”, “Helter Skelter” e “Anarchy in the UK” – un vero compendio di storia della musica in sei-sette minuti! – mentre non possono mancare le epocali “Dr. Feelgood” e “Same Ol’Situation”, che ripropongono i Mötley Crüe più adulti (beh, insomma, si fa per dire…). C’è anche tempo per pezzi relativamente più recenti, come “ Saints of Los Angeles” o successi minori, come “Primal Scream”. “Home Sweet Home” fa sognare tutto lo stadio ma stavolta niente lacrime né addii. “Kickstart my Heart” chiude un concerto e una giornata all’insegna del grande rock e di grandi band.

La pensione può attendere.