Pensando alla parabola artistica degli Oasis, i re del brit pop, fatico a focalizzare che sia avvenuta negli anni Novanta. Sarà a causa delle impressionanti trasformazioni d’approccio, con l’ascolto in streaming, che livella in senso negativo emozioni e ricordi? Poi però basta ascoltare, anche casualmente, una qualsiasi gruppo tributo della band inglese, per capire che i germi sparsi in giro sono ancora vivi, visto l’entusiasmo del pubblico.

Tuttavia Liam Gallagher, il cantante simbolo del progetto, non ha intenzione di fermarsi alla nostalgia, ed ha intrapreso un viaggio in proprio ricco di contenuti. E con “C’mon you know”, il suo terzo lavoro solista, conferma il suo desiderio. 14 i brani presenti, per 52 minuti di musica. Forse troppo il minutaggio, ma ciò non toglie che una certa godibilità di fondo ci sia nel sentire il battagliero cantante intonare le sue invettive. “Too Good For Giving Up” è un manifesto, nonché uno dei pezzi più riusciti. Trascinante, in mezzo a tanti buoni mid-tempo dall’andatura pop-rock, come “Diamond In The Dark”, con un incedere sicuro.

Lo stesso spirito che contraddistingue la spacconaggine del nostro, che si trasla anche a livello vocale sotto forma di una vaga sicumera. Un altro pezzo da segnalare è “Everything’s Electric”, scelto a ragione come singolo, con una carica rock fa tornare in mente i tempi di “What’s The Story?) Morning Glory”, il capolavoro datato 1995.

Ed ecco, è forse questa la differenza tra gli Oasis e il Liam Gallagher. Mentre in gruppo cercava l’impatto e l’approvazione del pubblico, qui c’è anche una certa ricerca, infatti dei suoi tre lavori questo è il più sperimentale e coraggioso. I pezzi validi ci sono, e potrei citare anche la  cantilenante “It Was Not Meant To Be”, manca solo un po’ di energia in più. Ciò nulla toglie al fascino alla vocalità di Liam, che in qualche modo ha disegnato l’idea dell’inglese medio, tutto pub, calcio ed una punta di arroganza. 

Disco riuscito, che va ascoltato almeno tre volte, prima di carpirne il linguaggio. Forse manca il brano simbolo, alla “For What It’s Worth” per intenderci, ma sicuramente vale il nome del personaggio.