di Nick Bondis
Questa volta niente tappi per le orecchie. È una decisione grave e come tale la prendi con una certa solennità. A un concerto vuoi portare il minimo necessario: lo spazio nelle tasche è limitato e non vuoi certo riempirlo con roba inutile, che poi magari rischi di perdere mentre stai fuggendo dalla gente che poga. Poi pensi che i Cheap Trick non sono i Soulfly, hanno vent’anni di più e forse faranno i pezzi più melodici per tirare avanti un concerto intero. Insomma, pensi che quando raggiungi una certa età hai raggiunto un punto in cui sei in pace con il mondo e non te ne importa più nulla di fare casino. Niente di più sbagliato. Bastano le prime battute del concerto per capire che i Cheap Trick non li vedrai mai suonare le mazurke alle feste di paese. Il cantante Robin Zander si presenta con cappello da polizia inforcato sulla fronte, maglietta dei Beatles e un paio di pantaloni con stelle luccicanti degne del miglior David Bowie.
Il chitarrista Rick Nielsen è il solito mattacchione, con abito e cappellino che gli fanno mantenere quell’aria da scolaretto birbante nonostante i settant’anni suonati. Al basso non c’è Tom Petersson, alle prese con una convalescenza post intervento al cuore (in bocca al lupo Tom!). Al suo posto: Robin Taylor Zander, che non è altri che il figlio di Robin Zander. Si comincia con l’irruenza punk di “Hello there”, che non lascia dubbi sulle intenzioni della band. Il suono è potente, i ritmi serrati e il cantato di Zander, classe 1953, non ci mette molto a conquistare gli animi. Seguono “Hot love” e “Big eyes” e riscopri una conclusione a cui eri giunto in passato ma che avevi dimenticato: le melodie dei Cheap Trick sono a un livello superiore alla media. Sono orecchiabili ma non sono scontate. Non sanno di già sentito. Vanno capite, digerite, riascoltate, riscoperte a distanza di anni. Ascolti dal vivo “The Ballad of TV Violence”, “The boys and girls of rock and roll” e ti rendi conto che questi pezzi suonano ancora freschi, come se li ascoltassi per la prima volta. Forse perché i Cheap Trick – e si vede – sono una band che si diverte ancora a stare sul palco e perché tutti e quattro suonano per il gruppo e non per sé stessi. La cover di “California Man” dei The Move e “Ain’t that a Shame” di Fats Domino l’avranno fatta centinaia di volte ma la suonano ancora con l’entusiasmo dei primi tempi. C’è spazio per i successi anni Ottanta, come “Never had a lot to lose” e la toccante “The flame”, che rendono giustizia a “Lap of Luxury”, un album che rimane ancora oggi un gran bel disco, nonostante il sound patinato anni Ottanta sia lontano anni luce dai gusti attuali. Ma sono indubbiamente gli Anni Settanta il periodo d’ora dei Cheap Trick: “Stiff Competition”, “I want you to want me” e la surreale “Dream Police” sono un crescendo di riff da stadio e ritornelli memorabili, che trascinano il pubblico verso l’ultima parte del concerto.
E che finale! Ascolti “He’s a whore” e capisci è anche dal suo mix di pop, hard rock e punk che vengono i Motley Crue (e infatti Vince Neil ne rende tributo nel suo disco di cover Tattoos and Tequila del 2010). Rick Nielsen attacca “Surrender”, un vero e proprio inno generazionale, e ti ritrovi a battere il piede e cantare senza neanche che te ne possa accorgere. Fu uno dei pezzi che sbancarono in Giappone, traghettando la band verso il successo mondiale. E non è difficile immaginare perché. Ti ritrovi assieme ai due/trecento presenti a cantare all’unisono “mommy’s alright, daddy’s alright…” e pensi cosa deve essere stato essere al Budokan di Tokyo assieme a migliaia di giapponesi urlanti di fronte ai Cheap Trick con quarant’anni di meno sul groppone. Rick Nielsen sfodera una dopo l’altra le sue chitarre easgerate. Quella a quattro manici fa ormai fatica a tenerla sulle spalle, anzi, non ce la fa proprio. Incredibilmente nessuno lo aiuta ma lui non demorde: la appoggia per terra e la suona senza tracolla. Se mai arriverò ai settant’anni, voglio arrivarci cosi! Con “Auf Wiedersehen” e “Goodnight now” i Cheap Trick si congedano (del resto, che vuoi fare con dei titoli cosi?), facendo piovere una pioggia di plettri. Te ne vai pensando che magari le movenze non saranno più quelle di anni fa, che i volti solcati dalle rughe di Robin e Rick fanno pensare ai tempi andati ma che, alla fine, anche a settant’anni, puoi ancora spaccare. Poi ti togli i tappi per le orecchie e te ne vai a casa.