Ha senso ancora parlare di un nuovo disco dei Deep Purple? Cosa dobbiamo aspettarci da una band che per quattro/quinti è a ridosso degli ottanta anni? Era questo che sognavamo per il rock? Invecchiare più o meno bene? Trasformare la ribellione in saggezza? Il tutto partendo dalla considerazione che paragonare i Deep di “In Rock” e “Burn”, ma anche di “Perfect Stangers” e “Purpendicular”, con quelli attuali è solo tempo perso. Parliamo di due cose completamente diverse.
Tante domande e considerazioni, tuttavia ai Deep Purple la filosofia non interessa, perché questo nuovo album, il ventitreesimo in studio della loro decennale storia e il primo con il nuovo chitarrista Simon McBride (sostituto di Steve Morse, dimissionario per problemi familiari), è di una bellezza spiazzante. Tredici brani che, tranne un pezzo, si aggirano non oltre i quattro minuti e, senza fare classifiche, per me formano il loro migliore lavoro da tanto, ma davvero tanto tempo.
Probabilmente aiuta la presenza di un chitarrista britannico (naturalizzato statunitense) e quindi con certi suoni hard e blues tatuati sottopelle, ma è l’insieme, la squadra che funziona, con la voce di Ian Gillan solida, vecchia, ma ancora bella. Naturalmente le tastiere di Don Airey la fanno da padrone, guidando armonie e regalandoci alcuni assoli stratosferici. Assoli che anche la chitarra di McBride non lesina, sostenuto come sempre dalla sezione ritmica più iconica dell’hard rock: Ian Paice e Roger Glover per servirvi.
Si parte con il tempo medio di “Show Me”, che avanza solido e sicuro, con una parte vocale bellissima. Con “A Bit On The Side” c’è un clima tempestoso, con un lavoro ritmico notevole sui cui Gillan disegna un cantato importante. “Sharp Shooter” ci riporta all’idea del gruppo degli ultimi anni, niente velocità, ma sostanza, con un Don Airey in stato di grazia, seguito dal chitarrista, per uno di quei duetti a rimbalzo che hanno reso celebre il gruppo inglese. La già nota “Portable Door”, uscita come primi singolo a fine aprile, conferma l’ottimo stato di forma del quintetto che con “Old-Fangled Thing” alza i giri del motore, per uno dei brani più ritmati e veloci dell’album. “If I Were You” è una ballata intrisa di blues, sui cui Gillan si misura senza cercare forzature, ma feeling, e la sfida è vinta, anche grazie al talento del chitarrista, che ci regala una successione di note importante. Il secondo singolo “Pictures Of You” e il terzo “Lady Sod” (divisi dal power blues di “I’m Saying Nothin”), sono posizionati a metà disco e regalano una sensazione di freschezza, che riprova l’intesa creativa del gruppo, a cui ha certamente giovato la conferma in cabina di regia del produttore Bob Ezrin, con cui il gruppo ha creato un forte legame da “Now What?!” del 2013. L’alleanza si sente anche nella sicurezza con cui viene affrontato “Now You’re Talking”, il brano più heavy del lotto, costruito su una sequenza in crescendo, con Gillan che cerca spazio tra il riff di tastiere che martella sotto. Lo spirito hard prosegue con “No Money To Burn”, su cui splende l’ennesima intuizione solista di Don Airey. I due pezzi conclusivi sono commoventi, “I’ll Catch You” è un blues luccicante dove aleggia lo spirito di Gary Moore, su cui si avventa un assolo appassionato di McBride. Ma non è finita, perché la chiusura è affidata a “Bleeding Obvious”, il mio preferito, sorta di hard prog che sfiora i sei minuti, con ritmiche ed assoli che si incrociano ed un ponte vocale di Gillan che tracima emozione.
“= 1” è un album intenso, carico di emozione, in cui quattro miti si coccolano il giovane talento (il chitarrista ha 45 anni), ed insieme firmano un disco che riporta i Deep Purple al ruolo che gli compete, ovvero di leggende viventi.
Non è dato sapere se “=1” sarà ultimo disco in studio, intanto la band si diverte in tour, ma se così fosse, non poteva esserci saluto migliore.
Non mi vergogno a dirlo: i dischi del nuovo millennio dei Deep finivano presto nel mio archivio con il classico: belli, ma li ascolto tre volte”. Con “=1” è invece tornato un entusiasmo che avevo perso.
Disco bello, ispirato, che sorprende e per certi aspetti irragionevole, vista la lunga storia alle spalle dei protagonisti.