I gusti musicali dello Stivale, si sa, rincorrono i prodotti televisivi, i talent show e i tormentoni delle radio. Rispetto agli altri paesi europei, la classifica degli album più venduti in Italia predilige la moda alla qualità, promuovendo sostanzialmente sempre lo stesso stereotipo di artista. Ciò premesso come dato di fatto più che come opinione personale, non può stupire che molti artisti apprezzati all’estero vengano snobbati nel Bel Paese. Stigmatizzato dal suo inizio di carriera in una famosa boy band e ridicolizzato persino da Elio e le Storie Tese nel loro brano TVUMDB, Gary Barlow è rimasto nell’immagine collettiva degli italiani come il componente meno carino dei Take That.
Peccato che dietro a questa ingiusta etichetta si celi un ragazzo talentuoso che già a sedici anni scriveva canzoni e si esibiva nei locali. Gary è appena diciottenne quando legge un annuncio di Nigel Martin Smith, un produttore che, per mere questioni economiche, sulla scia degli americani New Kids On The Block, decide di formare una boy band. Incontra Gary, ne percepisce il grande talento e lo recluta all’istante, affiancandogli poi altri quattro ragazzi di bella presenza ma con dubbie doti musicali. Dal 1989 al 1996 Gary compone i brani che portano al successo i Take That, rimanendo per lo più alle spalle dei compagni ed essendo spesso deriso per il suo aspetto. Ai tempi in cui il fenomeno del body shaming era non solo tollerato, ma corroborato dalla società, le critiche per l’aspetto di Gary e il paragone con gli altri componenti superava l’apprezzamento per il suo lavoro. Allo scioglimento della band, causato dall’abbandono del carismatico Robbie Williams, (che non ha un grammo delle capacità di Barlow, ma guarda caso riesce a raggiungere un grande successo da solista eseguendo brani scritti da altri) seguono per Gary periodi bui, durante i quali compone brani per altri artisti, rimanendo nell’ombra, sfuggendo ai fotografi, nascondendosi in uno stato di sfiducia e depressione. Gli ci vorrà qualche anno per iniziare un percorso su se stesso che lo porterà a riconquistare l’autostima, riaprendo il capitolo Take That nel 2006 (senza Robbie). I brani composti da Gary ottengono un insperato magnifico secondo successo, confermando le sue qualità a tal punto che nel 2010 Robbie Williams, la cui carriera aveva subito una battuta d’arresto, decide di sfruttare la situazione, concedendo la sua presenza nell’album Progress al solo fine di rilanciare la sua immagine. Il songwriting di Barlow negli anni si fa più maturo e consapevole, affiancando ai brani di immediato ascolto alcuni più meditativi come ‘It’s all for you’ nell’album “Wonderland” (2017). Parallelamente, Barlow porta avanti alcuni progetti solisti, molto apprezzati in Gran Bretagna (Music Played by Humas, nel 2020 ha raggiunto le top chart inglesi) ma sconosciuti in Italia. Ai giorni nostri, l’aspetto esteriore di Gary è notevolmente migliore di quello degli ex compagni (guardare le foto per credere), ma la sua meravigliosa vocalità viene ancora sottostimata, basti pensare al successo ottenuto dal collega Michael Buble, mero esecutore di cover natalizie, con il quale Barlow ha duettato in diverse occasioni. E a proposito di Natale, Barlow ha recentemente annunciato l’imminente uscita del suo album “The Dream of Christmas”, con l’omonimo singolo, una ballata delicata e intensa, e indovinate un po’? Composta da lui stesso. Un pezzo originale, non l’ennesima re-interpretazione di successi storici che tuttavia spopolano. Gary insiste quindi nel donare al mondo le sue creazioni, così come per la sua linea di vini da poco inaugurata (al momento acquistabile solo in Gran Bretagna), sebbene per molti il suo nome rimanga ingiustamente incollato all’epiteto dispregiativo (per quanto sarcastico), affibbiatogli da Elio e le Storie Tese.